Era abbastanza prevedibile il fatto che i danni causati dalla collaborazione fra Bud Light e l’influencer transgender Dylan Mulvaney (che ha da poco spiegato tramite un video sui social che, dopo la vicenda, si è sentita abbandonata dall’azienda) non si limitassero a colpire solamente il marchio di birra (ormai non il più amato dagli americani) e l’azienda produttrice, ma anche tutto l’indotto. Lo sa bene un impianto di imbottigliamento che imbottigliava la birra Bud Light, costretto ora a chiudere per mancanza di lavoro, lasciando così a casa 600 dipendenti.
Bud Light: i danni si espandono a macchia d’olio
Qui trovate un recap della vicenda. La storia in breve: Bud Light fa una collaborazione con l’influencer transgender Dylan Mulvaney, regalandogli delle lattine di birra con il suo viso per festeggiare il suo primo anno di “fanciullezza”. Nonostante le lattine non fossero state messe in commercio, la destra conservatrice americana e relativi bevitori si sono inalberati, smettendo di bere la Bud Light.
Il che ha generato un effetto a cascata: le vendite della Bud Light sono crollate, il titolo è andato in picchiata in Borsa, nessuno la beve più neanche quando regalata e via dicendo.
Ma il danno si sta estendendo a macchia d’olio anche all’indotto a cui la Bud Light è collegata. Per esempio, adesso un’azienda che imbottiglia la birra Bud Light e che lavorava parecchio con questa birra, visto il calo delle vendite e la necessità di ridurre la produzione, non avendo più la Bud Light da imbottigliare, si è vista costretta a chiudere due delle sue sedi, licenziando più di 600 dipendenti.
È stato lo stesso gruppo Ardagh, produttore mondiale di vetro che aveva stipulato un contratto con Anheuser-Busch, ad annunciare la chiusura a luglio degli stabilimenti in North Carolina e Louisiana, con perdita del lavoro per i suoi 645 dipendenti.
Ovviamente l’azienda di imbottigliamento non ha rivelato il perché della chiusura, ma secondo quanto riferito da un’indagine del WRAL, gli impianti stanno chiudendo a causa del calo delle vendite della Bud Light. Questo perché rivenditori, distributori, bar e aziende a contratto stanno subendo il contraccolpo del boicottaggio nazionale messo in atto dai bevitori dopo la collaborazione fra Bud Light con Dylan Mulvaney.
Secondo quanto riferito da Wral, i lavoratori di entrambi gli stabilimenti si erano subito accorti di un calo della produzione dopo la messa online del video di Mulvaney ad aprile. Un meccanico che si occupa delle riparazioni delle macchine, ha rivelato che il calo della domanda ha costretto i due stabilimenti a mettere offline alcune delle loro macchine.
Inoltre in una nota interna di Ardagh Group, pare che i dirigenti abbiano spiegato di aver pianificato la chiusura dei due impianti “a causa del rallentamento delle vendite con Anheuser-InBev”.
I dipendenti hanno dichiarato di non essere rimasti sorpresi della cosa in quanto gran parte del loro lavoro in quegli stabilimenti riguardava proprio l’imbottigliamento di birra per Budweiser e Bud Light. Visto che Budweiser non riesce più a vendere bottiglie, ecco che non hanno più bisogno di loro.
E questo è solo l’inizio. Voglio vedere cosa succederà quando coloro che stanno boicottando il settore vedranno ricadere anche su di loro le ripercussioni di tale assurdo boicottaggio. Perché prima o poi succederà.