Si era infilata in borsa una busta di patatine e una birra, per un valore di due euro circa, a fine turno: il titolare del bar in questione, però, aveva notato il tutto e deciso di licenziare la lavoratrice. Troppo severo? Secondo il giudice del lavoro di Bologna sì: nel gennaio del 2021, infatti, emise una sentenza che definì “sproporzionato il licenziamento e, di conseguenza, da considerarsi illegittimo”, fissando invece un risarcimento per il furto di circa 3000 euro. La vicenda, però, non è ancora finita.
La società di Castel Maggiore (dove si trova il bar di cui sopra) a infatti presentato appello contro il verdetto, impugnando la “violazione del diritto oggettivo” sulla questione della “giusta causa” e chiedendo la restituzione della somma che aveva dovuto versare. Il giudice, tuttavia, non ha cambiato idea, e nella giornata di venerdì ha definito l’appello “infondato”. Il ragionamento seguito per giungere a questa conclusione faceva riferimento al fatto che la lavoratrice era verosimilmente stanca dopo molte ore di lavoro, e in questo contesto un pacco di patatine e una birra non possono incidere sul rapporto di fiducia. La prima sentenza, secondo le parole dell’avvocata Clelia Alleri che assistì la donna, fu “Importante perché ormai da tempo la giurisprudenza si stava orientando a dire che non è tanto l’entità del furto che giustifica il licenziamento ma è sufficiente il furto in se’ ad interrompere il vincolo di fiducia”; mentre quella di appello sostiene che “se è vero che la tenuità del danno patrimoniale” non è un “requisito sufficiente” per escludere la “giusta causa” – o, in parole semplici, stiamo pur sempre parlando di due euro senza altri precedenti disciplinari. Morale della favola? Appello respinto, e mille euro di spese processuali per la società che l’aveva presentato.