Lo so che son tempi veloci e le notizie bruciano più veloci di una Rizla, che tutti i giorni vogliamo fatti nuovi che scaccino quelli vecchi e che i quotidiani the day after fasciano il pesce, ma oggi vi chiedo un permesso: di indugiare un poco sulla morte di Bob Noto, di trattenerne la memoria digitale qualche ora in più.
Dire che Bob era uno dei più grandi gourmet d’Italia forse è fin riduttivo, e l’ha dimostrato il suo funerale, sabato, al Cimitero Monumentale di Torino.
C’era tanta gente. C’erano gli amici di una vita. C’era Massimo Bottura. C’erano Carlo Cracco e signora. C’era Raf Alajmo. C’era Matteo Baronetto. C’era Eugenio Boer. C’era l’altro grande gourmet torinese, Giorgio Grigliatti, con il figlio Gil. C’erano Enzo e Paolo Vizzari, Marco Bolasco, Eugenio Signoroni, Fiammetta Fadda, Sara Porro, Marco Trabucco, Cavallito&Lamacchia e tanta critica italiana.
E c’era, grande, una corona di fiori sul cui nastro campeggiava la scritta “El Bulli Foundation”.
Abbiamo seguito la bara fino al crematorio, siamo stati in silenzio ognuno nella propria sfumatura del dolore –-da quella più scura della sua famiglia a quella più tenue di chi aveva conosciuto Bob a tavola-–, poche parole di commiato e poi la cassa ha varcato la porta che conduce al forno.
Ed è qui che il funerale del gourmet più ironico d’Italia è diventato unico: scomparso il feretro, è partito lo stacchetto dei Looney Tunes. Come dire That’s all, folks. E’ tutto, ragazzi.
Così abbiamo riso, abbiamo pianto, abbiamo applaudito e siamo usciti. E ci siam messi a ricordare le cose assaggiate con Bob. E a parlare di ristoranti, di vini, di cene memorabili. Era naturale, e giusto, che finisse così.
PS: non abituatevi a Buonappetito così contemplativi. Domani saran faville: parliamo di Report (ma DOPO averla vista: chi ne ha parlato prima o è un veggente, o è Iovene o commenta a sproposito).
[Crediti | Link: Repubblica, Dissapore, immagine: VCrown]