La prossima mossa di Brewdog? Un’espansione verso il fertile mercato della Cina, grazie al “ponte” costruito con la partnership stretta con Budweiser – una joint venture che, per l’appunto, dovrebbe permettere al birrificio artigianale di produrre la sua Punk IPA e altre etichette nel Paese del Dragone. Non solo birra, però: stando a quanto lasciato trapelare i piani di espansione comprendono anche l’apertura di diversi locali, con lo stesso James Watt – CEO e capo fondatore di Brewdog – che ha affermato di avere intenzione di arrivare in “ogni angolo del più grande mercato della birra del mondo”.
Brewdog in Cina: aria nuova per dimenticare perdite e controversie
Pare che, dopo un paio di annate relativamente difficili, dalle parti del birrificio artigianale più importante del Regno Unito abbia ripreso a soffiare un timido vento di ottimismo. Al momento è bene notare che la Cina, che come accennato da Watt è di fatto il più grande mercato mondiale per quanto riguarda la birra, rappresenta meno dell’1% delle vendite complessive di Brewdog.
Stando a quanto stipulato nell’accordo sopracitato, però, Brewdog ha fatto sapere che si aspetta di cominciare la produzione delle proprie etichette presso il birrificio artigianale Putian di Budweiser China, nella provincia sud-orientale del Fujian, già entro la fine del prossimo mese; mentre l’apertura dei locali a cui abbiamo accennato in apertura avverrà nell’arco dei prossimi tre anni.
L’idea di potenziare la rete di locali non dovrebbe sorprendere: nonostante una mole internazionale di oltre 110 bar, Brewdog può di fatto vantare appena un solo punto vendita nel Paese del Dragone – Brewdog Shanghai, aperto nel 2020 nel quartiere Jing’An.
Non a caso parlavamo di annate relativamente difficili, e il capitolo dei locali è un buon punto di partenza per introdurre l’argomento: la crisi energetica innescata dallo scoppio della guerra in Ucraina e poi acuita dalle tendenze speculative ha colpito duramente l’intera industria dell’ospitalità britannica, con Brewdog in particolare che si è trovata costretta a chiudere sei locali – tre a Londra e tre in Scozia – a causa del caro bollette.
Non manca nemmeno una fitta corona di controversie, che spaziano da una promozione pubblicitaria fuorviante costata al nostro James Watt 500 mila sterline fino alla perdita dello status come azienda B Corp dopo appena due anni a causa dei racconti di alcuni dipendenti che denunciavano un ambiente di lavoro tossico e malsano. Racconti che trovano risonanza anche nelle accuse mosse direttamente nei confronti del CEO di molestie sessuali, poi ribaltate dallo stesso Watt he aprì poi una causa per diffamazione e ricatto.