Il mondo della birra artigianale è stato uno dei più colpiti dal coronavirus e dalle restrizioni, perché vive soprattutto sui pub: locali che lavorano principalmente la sera, che sono stati i primi a chiudere e saranno gli ultimi a riaprire. I numeri del collasso: fatturato dimezzato nel 2020 rispetto all’anno precedente, e 70% dei birrifici che ha richiesto l’accesso alla cassa integrazione per i propri dipendenti. Per questo la richiesta è sostanzialmente una: aprire in maniera stabile e in sicurezza gli esercizi serali.
La protesta è sui social, guidata da Unionbirrai, associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti: sotto l’hashtag #noisiamolabirra si raccolgono video in cui i birrai raccontano la loro voglia di riaccendere gli impianti, in molti casi del tutto fermi da mesi. Il comparto della birra artigianale italiana è stato in costante crescita negli ultimi 25 anni e rappresenta una delle novità più frizzanti di tutto il nostro food. Allo stesso tempo si tratta di un settore delicato, perché i prodotti hanno una shelf life molto più breve rispetto alle birre industriali. Anche per questo, una delle battaglie storiche di Unionbirrai è quella per il riconoscimento di uno specifico codice Ateco, affinché alla birra artigianale sia riconosciuta la sua caratteristica di prodotto fresco e con elevata deperibilità.