L’antefatto dell’insolita baruffa a colpi di ricorsi al Tar tra gli industriali italiani della pasta e il governo, scoppiata ieri durante la presentazione della Giornata mondiale della pasta del 25 ottobre, dovrebbe essere noto agli adorati lettori di Dissapore.
In tema di origine e provenienza del grano utilizzato per produrre la pasta il nostro governo, in data 20 dicembre 2016, ha sottoposto alla Commissione UE un decreto che rende obbligatorio indicare la provenienza del grano impiegato direttamente nell’etichetta.
Il grano è straniero in un pacco di pasta su tre: si deve indicare l’origine in etichetta?
Oltre a valorizzare le produzioni di grano italiano di qualità incentivando i produttori di pasta italiana ad aumentare l’impiego di grano nazionale, l’obiettivo è tutelare maggiormente i consumatori, perché oggigiorno, in pratica, un pacco di pasta su tre contiene grano straniero senza che i consumatori possano saperlo.
Ma i big della pasta, sentendosi infangati, non solo si oppongono con tutta la (notevole) forza che hanno, ma rigettano il decreto e annunciano ricorso.
Uno scenario singolare che merita di essere ricostruito attraverso le singole posizioni.
Paolo Barilla
— Se in Italia si facesse pasta solo con grano italiano, se ne produrrebbe il 30-40% in meno.
— Non solo il grano italiano non basta, ma non è neanche di qualità adeguata perché solo il 10% del grano è eccellente, il 50% è di qualità media e il 40% è insufficiente a garantire purezza e contenuto proteico richiesti per la pasta.
Il decreto è una forzatura perché, in un certo senso, ci impone di utilizzare quel grano.
Aidepi (Associazione dei pastai italiani)
— Abbiamo rigettato il decreto perché è fatto male, non è per la trasparenza e non è di stimolo a migliorare la qualità. E a chi dice che compriamo grano straniero per risparmiare, rispondiamo che quello statunitense costa fino al doppio.
Coldiretti – (associazione degli agricoltori italiani)
— Siamo certi che la magistratura tutelerà l’informazione dei cittadini sugli interessi economici e commerciali dei pastai che ancora una volta preferisce agire nell’ambiguità contro gli interessi dell’Italia e degli italiani che chiedono trasparenza.
Si vuole impedire ai consumatori di conoscere la verità privandoli di informazioni importanti come quella di sapere se nella pasta che si sta acquistando è presente o meno grano canadese trattato con il glifosato (pesticida, il diserbante più usato al mondo), accusato di essere cancerogeno e per questo proibito sul grano italiano.
Glifosato: è un problema il pesticida trovato in 14 birre tedesche?
Riccardo Felicetti (presidente Aidepi)
— La Coldiretti ci sta infangando perché non è così. Il decreto è fatto male: non informa correttamente il consumatore, rischia di far credere che ciò che conta per una pasta di qualità è l’origine del grano. E non è vero.
Il decreto non incentiva gli agricoltori a produrre grano di qualità e riduce la nostra competitività all’estero, perché introduce un obbligo che comporta costi aggiuntivi solo per noi e non per i nostri concorrenti
Paolo Barilla
— Innanzitutto quando si parla di glifosato, si parla di tracce di glifosato, e non solo nel grano ma in diversi prodotti. Detto questo, bisogna sapere che parliamo di livelli bassissimi, dalle 100 alle 1.000 volte inferiori ai limiti di legge: bisognerebbe mangiare 200 chili di pasta al giorno per 365 giorni all’anno per avere degli effetti.
Siamo riusciti a farvi capire qualcosa in più sul ricorso al Tar dei pastai italiani contro il decreto sull’origine? Vi siete formati un’opinione? Volete condividere tenuto anche conto di questi dati?
— Produzione della pasta italiana se venisse fatta solo con grano italiano: – 30% (fonte: Aidepi)
— Cosa pensano gli italiani del decreto governativo? 81% dei consumatori italiani vogliono l’origine del grano in etichetta (fonte Coldiretti).