Tira aria di cambiamento tra le colline della Langa. A soffiare è il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, che ha presentato alla propria base produttiva una serie di proposte di modifica ai disciplinari dei due grandi rossi del basso Piemonte con l’intenzione di – e qui citiamo direttamente il comunicato del Consorzio – “sentire le opinioni in merito e confrontarsi con le idee dei produttori”.
Sono cinque, complessivamente, le modifiche proposte – tutte saldamente legate a un’ideale di buon senso ma anche tutte abbastanza coraggiose da andare a coinvolgere aspetti delicati che, con ogni probabilità, faranno discutere un mondo produttivo punteggiato da realtà tradizionaliste.
Barolo e Barbaresco: un’occhiata alle modifiche proposte
Palla nella metà campo dei produttori, dicevamo – una scelta che evidentemente lascia trapelare la volontà di Matteo Ascheri, combattivo e tenace presidente del Consorzio in questione, di troncare sul nascere ogni potenziale polemica. La prima modifica – “l’unica caldeggiata per la sua importanza con connotati di urgenza e necessità”, dice il Consorzio – riguarda la limitazione della zona di imbottigliamento per Barolo e Barbaresco, che per legge deve coincidere con la zona di vinificazione.
È infatti bene notare che i disciplinari, risalenti ormai agli anni Sessanta, non ponevano alcuna limitazione all’imbottigliamento (come la maggioranza delle denominazioni dello Stivale, a onore del vere) poiché era impensabile trasportare il vino a lunghe distanze. Ora, naturalmente, non è più questo il caso.
Per comprendere appieno l’urgenza di tale punto è utile considerare quanto lasciato trapelare dallo stesso Ascheri, che ha dato conto di una segnalazione inviata dalla Camera di Commercio Italoamericana secondo cui un’azienda a stelle e strisce avrebbe acquistato una partita di Barolo sfuso per poi imbottigliarla (e venderla) su suolo americano – una strategia che avrebbe permesso di tagliare notevolmente i costi consentendo di proporre il Barolo in questione a un prezzo inferiore rispetto a quello dei concorrenti.
La modifica è, come accennato in apertura di articolo, fortemente impostata secondo un’intenzione di reale tutela della denominazione, tant’è che dalla sua approvazione potrebbe derivarne una ulteriore promozione in termini qualitativi nel territorio americano (probabilmente più efficace del far vestire al Barolo i panni del vino beverino e facile, ammiccando al portafoglio degli amici a stelle e strisce).
Ma torniamo a noi – la seconda modifica è la richiesta di interscambiabilità e reciprocità tra le due zone – Barolo e Barbaresco, per l’appunto – per la vinificazione e imbottigliamento. Si tratta, in parole povere, di introdurre la possibilità di vinificare e imbottigliare il Barbaresco nella zona di produzione del Barolo e viceversa, il tutto lasciando ovviamente invariata l’area di produzione delle uve.
Segue una proposta che chiama all’ormai doveroso confronto con la congiuntura climatica e le sue conseguenze – l’eliminazione del divieto di impiantare vigneti di Nebbiolo atti a Barolo o Barbaresco nei versanti collinari esposti al Nord. È bene notare che l’intenzione non è quella di aumentare la produzione, che a onore del vero rimane contigentata da bandi che regolano l’iscrizione alla denominazione; ma quella di offrire una “possibilità agronomica in più per i produttori”.
Raggruppiamo infine le ultime due proposte, che per carattere e scopo si configurano come le meno pruriginose: su tratta dell’aggiunta delle menzioni comunali per la denominazione Barbaresco (che si porterebbe, in caso di approvazione, “in pari” con il Barolo) e il via libera ai grandi formati, superiori ai sei litri (al momento consentiti solo per scopi promozionali). Parola ai produttori, dunque.