La tassazione non guarda in faccia alla crisi: nonostante le evidenti difficoltà di quest’ultimo anno per bar e ristoranti, nel 58% dei comuni italiani è aumentata la Tari, la tassa sui rifiuti.
L’aumento medio è del 3,8%, secondo l’analisi effettuata dall’Osservatorio Tasse locali di Confcommercio su 110 capoluoghi di provincia e città metropolitane, e le attività che pagano di più sono proprio ortofrutta, fiorai, pescherie, ristoranti, pizzerie e pub.
Non è solo una questione di solidarietà nei confronti di un settore che se la sta passando male a causa della pandemia: è infatti un dato di fatto, quantomai semplice da constatare, che i rifiuti sono diminuiti notevolmente quest’anno, causa mancanza di lavoro.
Lo dice il buon senso, ma lo dicono anche i numeri: sono oltre 5 milioni le tonnellate di rifiuti prodotti in meno rispetto al 2019. E allora, perché e con quale giustificazione aumentare la tassazione? Un problema, dice l’Osservatorio di Confcommercio, è la mancanza di impianti, che “costringe a inviare una parte considerevole di rifiuti nelle discariche o ad esportarli all’estero per il trattamento e l’incenerimento”, con un aumento dei costi per i Comuni che poi ricade sulle imprese.
La Tari ha ormai raggiunto un livello recordo: 9,73 miliardi, con un incremento dell’80% negli ultimi dieci anni. I costi, dice l’Osservatorio di Confcommercio, sono “ troppo alti e sproporzionati”, visto che tra l’altro a fronte di questi pagamenti crescenti “non corrisponde un’efficiente gestione dei servizi resi dagli enti locali”.
[Fonte: Il Sole 24 Ore]