Vuoi un po’ per la crisi internazionale innescata dallo scoppio della guerra in Ucraina (non che nell’immediato passato si stesse meglio – nessuno se lo ricorda il Covid?), vuoi per i continui rincari dei prezzi di materie prime e dei beni energetici, il settore dell’avicoltura denuncia di aver di fatto visto “bruciare” oltre 800 milioni in solo anno – di cui almeno 450 nella sola fase agricola. È quanto emerge dalle stime redatta da Unaitalia, associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, e che per l’appunto sottolinea come il settore in questione sia tra i più colpiti dai più recenti rincari.
Più precisamente, nel primo trimestre si è registrato un aumento dei costi produttivi agricoli del 18,4% che per la carne avicola sono stati del 21,1% e per le uova del 50%: un balzo causato in primis dai mangimi (che di fatto rappresentano il 60% dei costi), con il mais che nel solo mese di aprile ha aumentato il proprio prezzo del 59%, la soia dal 15% e l’orzo addirittura del 90%; aumenti che, come denuncia lo stesso presidente di Unaitalia, Antonio Forlini, sono soprattutto dovuti a ” dinamiche speculative [in corso] da quasi due anni, che devono essere fermate”. Insomma, se l’avicoltura ha saputo – fino a ora – tenere testa alla crisi in corso, ora le aziende e gli imprenditori del settore si trovano a temere per il proprio futuro.
A tal proposito Forlini invita a “limitare la dipendenza dall’estero e garantire la nostra capacità produttiva, mettendo in campo tutti gli strumenti dal Pnrr, alla Pac, alle nuove tecnologie; ma anche procedere verso una graduale transizione green che miri ad una sostenibilità anche economica e sociali”.