Assoenologi pubblica l’intera intervista di Cotarella a Report

Diamo un'occhiata all'intervista rilasciata a Report dal presidente di Assoenologi, Riccardo Coterella.

Assoenologi pubblica l’intera intervista di Cotarella a Report

All’indomani del nuovo servizio di Report a tema vino, andato in onda domenica 18 febbraio, Assoenologi ha ritenuto opportuno pubblicare l’intervista al presidente Riccardo Cotarella. Intervista che, è bene notarlo, era di fatto stata promessa tra le anticipazioni della puntata in questione; e che vede Cotarella aprire le danze difendendo sé stesso e chi, con lui, condivide ramo e visione professionale: “Sentirci chiamare piccoli chimici ha un po’ rotto le scatole”.

L’intervento di Cotarella è una lunga opera di puntualizzazione che, al netto di dichiarazioni più o meno pruriginose, vuole evidentemente evitare che la frattura creatasi nella scorsa incursione a tema enologico di Report, datata dicembre scorso, possa peggiorare: una frattura che ha visto gli addetti ai lavori (o più banalmente gli appassionati) tentare di mediare con un grande pubblico (che, è giusto notarlo, rimane naturalmente il destinatario primario di Report) dove si era insinuata una certa diffidenza nei confronti del mondo del vino.

“A chi si rivolge per curare una malattia? A uno stregone o a un medico?”

report vino

Il mondo del vino, spiega in prima battuta Riccardo Cotarella, è composto anche e soprattutto da “persone per bene, da produttori che faticano e che investono, da enologi che fanno la loro professione”; ma questo ovviamente non significa che non esistano le proverbiali “pecore nere”. Poi, rivolgendosi più al mondo giornalistico in generale che alla redazione di Report, invita ad approcciarsi a un argomento con più “prudenza e conoscenza” prima di affrontarlo in “maniera così categoricamente negativa”.

Il nodo della questione verte poi verso l’impiego inevitabilmente negativo della parola “chimica” e “chimico”, o più in generale sulle “manipolazioni”, se così vogliamo definirle, del mosto e delle uve. Cotarella (citando anche un recente intervento di Papa Francesco, tra l’altro) ricorda che per produrre vino è intrinsecamente necessario “deviare il percorso naturale” dell’uva: deve intervenire l’uomo, “con scienza conoscitiva e non con il fai da te”, correggendo – azione legittima, è bene notarlo – e agendo, secondo le modalità previste della legge, per curare le malattie. Un esempio dolorosamente recente? La peronospora, che ha pesantemente mutilato la scorsa vendemmia.

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Malattie che, è scontato, per essere debitamente curate necessitano di “un medico” – l’enologo, per l’appunto, che agisce con interventi “legali e non nocivi alla salute”, spiega Cotarella, “approvati dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalla Commissione europea”.

Un’altra puntualizzazione verte sulla gelatina, “presentata come se fosse peste” ma che troviamo anche “nei pasticcini che si comprano al bar e che mangiamo” e che nel vino viene “eliminata con la filtrazione”. La domanda posta da Cotarella, a questo punto, è legittima: “Perché volete criminalizzare un prodotto che è permesso dalla legge?”.

 

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Capitolo lieviti e fermentazione, dunque. “Oggi le uve che arrivano in cantina hanno delle quantità basse o inesistenti di lieviti indigeni sulla loro buccia” spiega il giornalista di Report, “perché vengono fortemente trattate con pesticidi”. Cotarella risponde pronto: “Il fatto che i lieviti siano più deboli è dato dal cambiamento climatico. Quando un grappolo è esposto a cinquanta gradi tutto ciò che sta nella buccia viene intaccato”.

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A questo va aggiunta l’alta gradazione naturale, per inciso anch’essa innescata da una inusuale “abbondanza” di sole e alte temperature, e diventa necessario “aggiungere lieviti che non hanno subito questo trattamento dal clima”. Lieviti che, è bene notarlo, vengono dall’uva; ma che – controbatte Report – sono prodotti da multinazionali.

Cotarella, qui, è laconico. “E allora? È un peccato essere multinazionali?“. Vale poi la pena sottolineare che il compito di tali lieviti è di trasformare gli zuccheri in alcol, nulla di più, e di certo “non danno personalità a un vino”. Quello è compito dell’uva.

In conclusione, il presidente di Assoenologi ricorda che a prescindere dal sistema impiegato – convenzionale, biologico, biodinamico, “purché sia un sistema” – non esistono “interventi che comunque non intaccano la superficie dell’uva”, e che tutti possono utilizzare un dato sistema “purché sia nel limite del legale”. Che significa? Semplice: “Qualunque vino, ammesso che sia nel range legale” implica necessariamente “l’intervento dell’uomo”.