Lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia ha determinato una improvvisa carenza di grano nel mercato cerealicolo globale: in passato vi raccontammo di come Paesi come l’Australia, forte di due raccolti da record, e l’India, che figura tra i maggiori produttori al mondo, avrebbero potuto occupare questo vuoto con le loro derrate – ma, come la storia c’insegna, la realtà finisce sovente per differenziarsi dalle previsioni. Altro nome importante, nel contesto dei grandi esportatori di grano, è quello dell’Argentina: anche in questo caso, tuttavia, l’imperversare di una siccità inusualmente prolungata e l’aumento dei costi di produzione – con complici il blocco ai fertilizzanti e l’instabilità politica – rischia di fare sfumare questa opzione.
Molti agricoltori argentini, infatti, stanno virando verso altri tipi di colture, come la soia: il terreno, infatti, non è abbastanza umido per piantare i semi di grano; e ben anche lo fosse il ciclo di crescita rischia di rimanere azzoppato dalla mancanza di piogge. In questo contesto, Buenos Aires e Rosario, principali centri cerealicoli del Paese, hanno deciso di ridurre sensibilmente le previsioni sulla semina e hanno già preso ad anticipare altri tagli nel caso in cui il meteo non dovesse migliorare: stando ai dati degli esperti, si tratta delle peggiori condizioni di semina del grano degli ultimi 12 anni.
Come abbiamo accennato in apertura, la siccità non è l’unica variabile a preoccupare gli agricoltori. I prezzi dei fertilizzanti, infatti, sono più che raddoppiati – spostando molte imprese a valutare altri tipi di colture che richiedono un minore investimento di risorse. Occorre valutare, infine, che le autorità governative argentine hanno voluto mantenere un tetto alle esportazioni di grano inferiore rispetto a quello degli anni scorsi, aumentando nel frattempo le tariffe sull’export nel tentativo di tenere a bada l’inflazione interna, che ha raggiunto il 60%.