Il Blue Hole, o più banalmente “buco blu”, è un tratto dell’Oceano Atlantico meridionale situato a circa 200 miglia al largo della costa argentina e nord delle Isole Falkland. Al di là del nome vagamente evocativo, è bene notare che si tratta di una delle poche aree marine a non essere attualmente coperta da un accordo di pesca regionale.
I nostri lettori più ottimisti (o forse più ingenui?) potrebbero pensare che questa “esenzione”, se così vogliamo definirla, possa avere creato una zona franca che esiste al di fuori delle normali rotte dei pescherecci. Beh, nulla di più sbagliato: secondo uno dei più recenti monitoraggi effettuati dal governo delle Isole Falkland verso la fine dello scorso mese si sono contate più di 400 navi pescare nel Blue Hole. Si tratta, in altra parole, di un’area dove vige la spietata regola del liberi tutti; e dove le popolazioni ittiche locali sono ormai prossime al collasso.
Il “buco blu” delle Falkland: dove tutto vale
“Questa schiacciante attività non regolamentata è disastrosa”, ha affermato Teslyn Barkman, membro dell’assemblea legislativa delle Falkland. “Non esistono restrizioni di alcun tipo sulla pesca, ma è tutto perfettamente legale a causa della mancanza di un accordo regionale su come dovrebbe essere gestita l’area”.
Dove non arriva il gatto i topi fanno festa, in altre parole. Stando ai monitoraggi delle autorità locali, poi riportate dai colleghi del The Guardian, la maggior parte delle navi transitanti battono bandiera cinese, e sono per di più solite spegnere i localizzatori di bordo al loro ingresso nel cosiddetto “buco blu”, rendendo ancora più difficile redigere stime precise circa il loro numero.
Una domanda, tuttavia, non può che sorgere spontanea: come si è venuto a creare questo “buco blu”? La risposta è relativamente semplice, e affonda – come forse avrete già potuto intuire – le sue radici nell’invasione argentina del 1982 delle Isole Falkland.
Questo particolare angolo di mare è, in altre parole, rimasto coinvolto nel mezzo di una disputa geopolitica tra Argentina e Regno Unito sulla sovranità delle Isole Falkland, con queste ultime che sono di fatto riconosciute come territorio britannico; e lo sviluppo di un accordo sulla pesca è inevitabilmente rimasto stritolato tra gli ingranaggi di una difficile relazione diplomatica.
Il risultato, come accennato in apertura di articolo, è una zona dove l’unica legge è quella del “tutti contro tutti”, della rete che gratta il fondale, del riempirsi pancia e portafoglio; con l’ambiente marino che inevitabilmente comincia a patire il giogo dello sfruttamento feroce.
Janet Robertson, amministratore delegato di Consolidated Fisheries, una società con sede nelle Isole Falkland, ha affermato che il numero “sempre crescente” di flotte cinesi ha creato un “serio rischio” per la sostenibilità delle popolazioni locali di calamari e per il più ampio ecosistema. Il Blue Hole, ha spiegato Hernán Pérez Orsi, di Greenpeace Argentina, è un “punto chiave per la biodiversità, non solo nella regione ma in tutto il mondo”.