Il trend di sfatare il mito della cucina tradizionale e dell’italianità sta conquistando terreno. Lo ha capito persino Gino Sorbillo e ora anche chef Antonino Cannavacciuolo vede la convenienza di sposare il tema. O di dargli una pacca ben assestata. Intervistato dal Corriere della Sera il 26 maggio, lo chef – volto da anni in Tv tra Master Chef, Cucine da Incubo e spot – ha abbracciato la teoria che di questi tempi è sulla bocca di molti – e nella penna di autori e storici. Questo anche grazie alla ricerca accademica, in particolare quella di Alberto Grandi: lui, insieme a Daniele Soffiati, ha lanciato un sasso pesantissimo nella cultura gastronomica italiana con DOI podcast e il recentissimo libro “La cucina italiana non esiste“.
Concetto affine al pensiero di Cannavacciuolo: “la ‘nostra’ cucina non esiste, la cucina è una sola: quella buona“, afferma. Nessuno insinua che tale esternazione non corrisponda davvero al reale pensiero dello chef, anche se il fatto che mentre fa il distaccato strizzi l’occhio ai brand più campanilisti, per pubblicità, fa sorridere.
Rinnegare il campanilismo funziona
In un mercato a dir poco satollo quanto a cibo, ricette, prodotti, italianità, la soluzione più intelligente è provare la via opposta: andare controcorrente. Non è questo l’intento degli storici coinvolti e citati (per loro è questione di precisione storica, non di “moda” o guadagno) ma non si può dire lo stesso di chi fa parte della ristorazione. Un insospettabile Gino Sorbillo alias “Maestro della pizza Napoletana” (concetto fumosissimo e romanzato, come spiegano Grandi e Soffiati) ha compreso quanto la provocazione possa funzionare, e rendere. Recentemente, infatti, si è buttato a capofitto sulla pizza con ananas sapendo perfettamente come l’italiano medio reagisca all’argomento.
Antonino Cannavacciuolo, al Corriere, sostiene che “di certo in Italia abbiamo dei grandissimi prodotti, i migliori, e ogni campanile ha la sua ricetta. Ma la cucina ha sapori e contaminazioni da tutto il mondo. Ogni tanto leggo gente che insorge perché si cambia un ingrediente da un piatto tipico, e a me viene allora voglia di farlo, per provocazione: non stiamo salvando vite umane, la cucina è piacere, bisogna farla come più ci ingolosisce“. Parole tanto provocatorie quanto diplomatiche, visto che lui non è un personaggio mediatico da Social Network – a differenza di Gino Sorbillo – e partecipare alle bagarre sul web non è interessato.