Il mondo del vino – o degli alcolici in generale, a dire il vero – sta cambiando. Una frase apparentemente breve, quest’ultima, composta da appena una manciata di parole; e che tuttavia comprende al suo interno decine di cause, tanto di matrice prettamente economica quanto naturale e climatica; altrettante conseguenze, sul mercato e nelle abitudini; ma in particolare l’inderogabile necessità di confrontarsi con un futuro che promette una faticosa operazione di riposizionamento, soprattutto nella produzione.
Tira aria di cambiamento, in altre parole, e la si sente tirare anche e soprattutto in quei Paesi che, per storia e per successo e per mille altre ragioni, sono diventate un po’ sinonimi del mondo del vino. Un esempio su tutti? La Francia, naturalmente: parleremo di export, e poiché questo discorso è difficilmente affrontabile senza l’affidabile stampella dei dati parleremo di numeri, di tendenze, di timori. Stappiamo il primo dato, dunque: secondo il più recente rapporto dell’Associazione francese degli esportatori di vino e liquori (FEVS), il volume del flusso in esportazione dei nostri cugini d’Oltralpe è stato mutilato del 10,4% nel corso del 2023.
La Francia del vino in numeri: un’occhiata all’export
Non è una sorpresa, a onore del vero – o almeno non dovrebbe esserlo. I dati inerenti ai primi mesi dello scorso anno raccontavano in maniera più che esplicita di una parabola nettamente in discesa, certamente trainata verso il basso dall’attuale congiuntura economica negativa, che senza ombra di dubbio penalizza le vendite di beni “di lusso” come il vino, ma anche allo stesso tempo è anche figlia di un allontanamento generale da quest’ultimo, in particolare tra i giovani.
Un’altra spia più che eloquente di un potenziale cambio del paradigma sono state le accese discussioni che hanno accompagnato il Dry January in quel d’Oltralpe – una sfida che ha rapidamente assunto i connotati della questione di Stato. Ma non divaghiamo (non troppo, almeno) e torniamo a parlare di export francese: la lettura della FEVS attribuisce buona parte del crollo di cui sopra al calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti (piccolo spoiler: anche da queste parti si beve sempre meno).
Le esportazioni di vino e liquori verso gli Stati Uniti sono diminuite del 22%, anche a causa dei grossisti a stelle e strisce che hanno cercato di ridurre il surplus di scorte accumulato durante la pandemia di Covid-19; con lo spumante in particolare che si è trovato a subire un calo in valore del 16%. Maglia ancora più nera per gli spiriti, in caduta libera del -37% verso il mercato statunitense.
“Questo declino è un campanello d’allarme per le aziende esportatrici”, ha affermato Gabriel Picard, presidente della FEVS. “Ci ricorda la continua necessità di adattarsi alle mutevoli richieste dei consumatori e del mercato”. Come muoversi da qui in poi? Picard la fa (relativamente) semplice: “Bisogna aprire nuovi mercati e si deve anche impedire che altri chiudano”. Cercare di tenere il piede in più scarpe può però rivelarsi rischioso – anche e soprattutto se, nel frattempo, si sta affrontando una crisi dei consumi anche in casa propria.