Allevamenti: bocciata la proposta europea che li avrebbe equiparati a impianti industriali

La commissione agricoltura ha bocciato la proposta europea che avrebbe equiparato gli allevamenti a impianti industriali per le emissioni.

Allevamenti: bocciata la proposta europea che li avrebbe equiparati a impianti industriali

Gli allevamenti non sono impianti industriali – così, con queste poche e imprecise parole, potremmo chiudere questa questione. Imprecise perché, nonostante il nostro riassunto possa sembrare un’ovvietà, manca di precisare l’importanza del contesto, e soprattutto esclude una domanda importantissima: per quale motivo allevamenti e impianti industriali sono stati paragonati, tanto per cominciare? La cosiddetta pietra dello scandalo è una proposta della Commissione Ue di revisione della direttiva sulle emissioni industriali che, in parole povere, avrebbe attribuito alle strutture di agricoltura familiare la denominazione di “impianti industriali”. Il risultato? Stalle, allevamenti e via dicendo sarebbero stati posti allo stesso livello degli impianti che estraggono carbone o che producono prodotti chimici.

Allevamenti come impianti industriali: il nodo delle emissioni

carne

Lo snodo più recente della vicenda è un respiro di sollievo per gli allevamenti – la commissione agricoltura del parlamento europeo (Comagri) ha bocciato a larghissima maggioranza la proposta di cui sopra. Attenzione, però: in quello che è un successo su tutti i fronti per associazioni come Coldiretti e Assocarni, che si sono naturalmente opposte pesantemente alla proposta della Commissione, si rischia di perdere il nocciolo più fondamentale della questione e cioè che gli allevamenti, per quanto diversi da un impianto industriale, inquinano. Parecchio.

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La tesi impugnata dai detrattori della proposta – tesi comprensibilissima, beninteso – è quella della perdita dei posti di lavoro determinata da una potenziale chiusura degli allevamenti medi o piccoli, con conseguente aumento della dipendenza dalle dalle importazioni di prodotti animali da Paesi terzi che, forti di vincoli si sicurezza alimentare e benessere animale più “rilassati” rispetto a quelli in vigore nell’Unione, avrebbero avuto la via libera verso il mercato europeo.

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Insomma, tutti i torti non li hanno – la questione è indubbiamente delicata. “Condividiamo pienamente l’obiettivo dell’esecutivo ue di ridurre i gas serra e l’inquinamento” ha commentato a tal proposito Paolo De Castro, relatore per il Gruppo S&D in Comagri “ma gli obblighi di sottomettersi a un regime di autorizzazioni e a implementare pratiche produttive sempre più stringenti derivanti da questa proposta, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dei nostri allevamenti, soprattutto quelli di minori dimensioni”.

Il nodo della questione, anche alla luce di tutto questo, rimane tuttavia annodato, e scusateci il gioco di parole. Chiudere un occhio e fingere che gli allevamenti siano effettivamente sostenibili significa peccare di ingenuità e, francamente, di miopia. A rendere ancora più amara la questione – o almeno per quanto riguarda il fronte nostrano – è la radicale opposizione alla carne coltivata, una potenziale soluzione che potrebbe abbattere il costo ambientale e la sofferenza animale. Ma a questo punto un dubbio sorge spontaneo: con il “no” alla proposta europea stiamo festeggiando l’aver ribadito un’apparente ovvietà – allevamento diverso da fabbrica – o un favore a chi ha grassi interessi in questo settore?

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