I governi del G20, riunitisi a Rio de Janeiro gli scorsi 18 e 19 novembre, sono tornati a casa ma stanno ancora discutendo dell’accordo di libero scambio tra UE e Mercosur. Quando diciamo “ancora” non intendiamo dalla scorsa settimana, ma da circa 25 anni: la proposta è infatti sul tavolo dal 1999, e il comparto agricolo europeo non è felice che le negoziazioni siano riprese. Le sue ragioni, in effetti, sono comprensibili. Il problema principale è che il libero scambio non terrebbe conto, perlomeno al momento, dei doppi standard in materia di salute, ambiente e benessere animale applicati da una parte e dall’altra dell’oceano. A fare la differenza, però, potrebbero essere le clausole specchio.
I doppi standard e la necessità di clausole specchio
È una questione datata, la necessità di introdurre clausole specchio negli accordi di libero scambio tra Paesi UE ed extra-UE. Nelle ultime settimane la faccenda è riemersa in relazione al “ripescaggio” delle trattative economico-commerciali che faciliterebbero la compravendita di prodotti tra l’Unione europea e Mercosur, il “Mercado Común del Sur” che unisce principalmente Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
Se ne parla da circa 25 anni e durante il G20 è stato chiamato di nuovo in causa, l’accordo che fondamentalmente pone un problema di doppio standard. Se da una parte l’abbattimento delle barriere faciliterebbe non solo l’importazione, ma anche l’esportazione dei beni europei (agroalimentari e non) al di là dell’Atlantico, dall’altra rappresenta una minaccia per il comparto agricolo nostrano, che sarebbe verosimilmente soggetto a concorrenza sleale.
Le normative europee sul fronte ambientale, salutare e del benessere degli animali non sono certamente le stesse del Mercosur – nel concreto, gli standard europei in fatto di uso di pesticidi e diserbanti, giusto per fare un esempio, sono più rigorosi di quelli sudamericani. Lo sottolinea anche Slow Food, che ancora una volta propone l’introduzione di clausole specchio. In altre parole, sarebbe opportuno garantire che i prodotti importati rispettino le stesse leggi alle quali si conformano quelli prodotti in casa. Lo stesso principio di incoerenza è già valido per OGM e carne coltivata, la cui produzione è stata vietata in Italia, ma che possono serenamente arrivare da oltreconfine.
Contro il pericolo di un accordo non regolamentato da clausole specchio (e non solo) alzano la voce gli agricoltori europei – soprattutto in Francia, come di consueto – ma anche il governo italiano. “Così com’è, l’accordo non è condivisibile”, dice il ministro dell’agricoltura Lollobrigida, mentre il ministro degli affari esteri Tajani apre uno spiraglio, parlando di “punti che devono ancora essere risolti”.