Nella ristorazione e caffetteria, a ricevere la certificazione per la Parità di Genere è il Gruppo Aimo e Nadia. Tale premio è un riconoscimento previsto dalla legge 162/21 del Pnrr che serve a incentivare politiche aziendali volte a ridurre il gap di genere: “l’obiettivo è di garantire il conseguimento e il mantenimento di un ambiente lavorativo più inclusivo e meno discriminatorio”. Tutto stupendo, ma il punto è: arrivati al 2023, queste condizioni non dovrebbero essere requisito umano fondamentale in ogni ambito lavorativo, la conditio sine qua non per qualsiasi attività?
Le nostre sono perplessità generiche che in nessun modo intendono scalfire serietà e storicità dei protagonisti della vicenda: Aimo e Nadia è un’istituzione meneghina e merita l’apprezzamento che sta ricevendo, soprattutto in qualità di primi nel settore a ricevere la certificazione per la Parità di Genere.
C’è dell’amarezza
Il Gruppo Aimo e Nadia sa sconvolgere e conquistare da molto tempo, con ogni realtà aperta: il ristorante Il Luogo con 2 stelle Michelin, BistRo Aimo e Nadia, il ristorante VOCE in Piazza Scala sempre a Milano. Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi anni di attività e noi ci siamo sempre stati, anche all’epoca del “merdessert”, dissacrante proposta che chef Alessandro Negrini (a tutt’oggi nel Gruppo, insieme a chef Fabio Pisani) propose per Il Luogo nel lontano 2014.
Insomma l’esperienza è tanta e il percorso è ambizioso e peculiare: non ci stupisce davvero che proprio Aimo e Nadia abbia lavorato bene anche sul frangente parità di genere. Ne parla Stefania Moroni, CEO del gruppo nonché figlia degli “originali” Aimo e Nadia: “abbiamo raggiunto questo importante risultato in anticipo e come pionieri nel settore della Ristorazione e Caffetteria in Italia, e ciò rafforza ulteriormente il nostro impegno per una cultura che abbraccia l’equità, l’inclusività e il rispetto”. Continua: “misure concrete come metodi innovativi per eliminare i pregiudizi nella selezione del personale, non avendo differenze salariali di genere, l’implementazione di politiche di congedo parentale e la promozione di una maggiore presenza femminile in posizioni di leadership“.
In tutto ciò perdura la nostra amarezza sulla faccenda, per i motivi introdotti poc’anzi. Dobbiamo essere attratti da una certificazione per far scattare senso civico ed etico sulla parità di genere e il gap salariale? Da quando è un merito eccezionale l’applicazione di un diritto che dovrebbe essere ordinario? Usare la carota (ovvero la certificazione in oggetto) per far muovere il mulo (ovvero l’eticità assente e/o immobile nel mondo del lavoro) è un metodo forzato ma che pone l’accento giusto sulle giuste realtà. Resta il fatto di quanto sia brutto constatare, nel 2023, quanto siamo indietro.