Ai giovani il cibo made in Italy interessa davvero poco: i dati sulla spesa lo dimostrano

Ai ragazzi fra i 18 e i 35 anni poco importa se il cibo che acquistano è Made in Italy o meno. Ce lo dice il Rapporto Coop, che evidenzia i loro interessi alimentari.

Ai giovani il cibo made in Italy interessa davvero poco: i dati sulla spesa lo dimostrano

Ai giovani italiani, del Made in Italy, frega veramente poco. Scusate l’immediatezza, ma è di recente uscito il Rapporto Coop 2024, che analizza i consumi e gli stili di vita nello Stivale, e il dato è lampante: alla domanda “I seguenti fattori influenzano le tue decisioni di acquisto dei prodotti alimentari?”, la risposta “Prodotto made in Italy” ottiene una misera percentuale del 12%. Chi lo dice ora al ministro Urso, che lo scorso aprile aveva istituito la Giornata del Made in Italy per celebrare “l’eccellenza, la creatività e l’ingegno che contraddistinguono i prodotti italiani nel mondo”?

Prodotti di stagione, ma economici

frutta verdura

Poco cambia quindi per i giovani se il prodotto alimentare che acquistano è stato fatto in Italia o in Papua Nuova Guinea. Ma a cosa sono interessati allora i ragazzi a tavola? Intanto specifichiamo un paio di cosette. Parliamo, in questo caso, della fascia 18-35 anni che ha già abbandonato il nido e che alla domanda di cui sopra evidenza principalmente due richiami: “Prodotto di stagione” (58%) e “Prezzo più basso” (51%). Non esattamente un controsenso, ma di certo una coppia interessante.

Secondo il ministro Lollobrigida i giovani si appassionano ai prodotti italiani grazie a McDonald’s Secondo il ministro Lollobrigida i giovani si appassionano ai prodotti italiani grazie a McDonald’s

Se da una parte sta a cuore la stagionalità degli ingredienti e quindi, presumiamo, una cucina più salutare e magari anche più sostenibile (e questo agli italiani interessa parecchio – ve lo raccontiamo a breve in un altro articolo), dall’altra la necessità di acquistare al prezzo più basso possibile mette in luce un qualche tipo di disagio economico e psicologico. Sì, perché sebbene il Rapporto sottolinei un certo recupero dell’economia italiana, emerge anche che consideriamo le nostre retribuzioni sempre insufficienti, in primis rispetto al costo della vita (e quindi anche del cibo). Ma il disagio è anche psicologico, dicevamo, perché lo stato prevalente quando si pensa al futuro è l’inquietudine.

Gap generazionali

Ma torniamo al nostro core business: la tavola. Parliamo di età ed è doveroso un confronto tra generazioni – e il Rapporto Coop ci fornisce succulenti dati a tal proposito. Il più interessante è l’identificazione con lo stile alimentare: poco meno del 40% degli under 35 si sente rappresentato da una cucina fatta di “solo nuove identità“. Via libera quindi all’alimentazione etnica, biologica, vegana o specifica per altre ragioni. Gli over 55, invece, restano maggiormente appesi a “tradizione e territorio” (30% di loro), mentre il misto fritto “tradizione e nuove identità” interessa il 35% di questa fascia.