Spendono di più, ma hanno meno entrate. Stiamo parlando dei produttori di agrumi in Italia, alle prese con i costi di produzione da sostenere, più alti rispetto alla concorrenza europea. Per fare un esempio, le clementine nazionali sono pagate dal consumatore meno di quelle spagnole. Ma a spaventare sono anche altri Paesi extra-Ue come l’Egitto e la Turchia: produttori che, tra l’altro, godono di diverse concessioni fitosanitarie.
La Confederazione produttori agricoli (Copagri) ha sollevato la questione in un’audizione di fronte la Commissione Agricoltura del Senato sottolineando una condizione deleteria per l’Italia, secondo produttore europeo dietro la Spagna, con oltre 2,8 milioni di tonnellate e circa 155 mila ettari dedicati, per un valore della produzione di quasi 1 miliardo di euro (-6% sul 2018/2017). E’ un settore che sconta le pessime condizioni climatiche e le vexatae quaestiones di carattere fitosanitario.
La Copagri ha suggerito poi alcune idee per il rilancio del comparto: sfruttare i fondi a disposizione per rafforzare i contratti di filiera, mirare alla promozione e all’informazione dei consumatori, senza dimenticare la ricerca e la riconversione varietale. Bisogna, inoltre, realizzare il catasto agrumicolo nazionale per favorire la programmazione e stabilire gli scambi commerciali con i paesi esteri, assicurando condizioni di reciprocità delle regole produttive e rafforzando i controlli sanitari sulle importazioni. Last but not least, è necessario predisporre un piano agrumicolo di settore pluriennale, che possa fungere da punto di riferimento per l’organizzazione della filiera, sia in termini di produzione che di commercializzazione e internazionalizzazione.
Fonte: Ansa