Se lavorare la terra è un mestiere nobile (e badate bene – lo è), è altrettanto corretto riconoscere che l‘agricoltura è un settore purtroppo infiltrato da ampie e pericolose zone d’ombra, due su tutte: la piaga del caporalato, erbaccia tenace e parassitaria che continua a infestare ampie sacche di manovalanza in tutta Italia, e gli infortuni, spesso mortali e sovente legati all’impiego di attrezzature (e macchinari, beninteso) carenti o poco sicure.
Per trovare esempi concreti è sufficiente spulciare la cronaca o i rapporti più recenti: è delle ultime ore, tanto per dire, la notizia che i carabinieri di Livorno si stanno misurando in una operazione contro il caporalato culminata, secondo gli ultimi aggiornamenti, nell’arresto di dieci persone gravemente indiziate; ed è altrettanto attuale l’analisi di Coldiretti Puglia sulle denunce di infortunio con esito mortale e di malattie professionali nella gestione agricoltura per regione nel quinquennio 2018 – 2022.
Il chiaroscuro dell’agricoltura, tra realtà e retorica
“In Puglia gli infortuni mortali in agricoltura sono pari all’11,3% del totale nazionale” si legge nell’analisi di cui sopra, “mentre le denunce di malattie professionali arrivano al 14%, un triste primato per la regione a forte vocazione agricola che ha bisogno di maggiori strumenti di tutela del lavoro in agricoltura”.
I numeri si riferiscono al contesto pugliese, ma è bene notare che rappresentano una spia di un problema notoriamente più diffuso: basti ricordare, a tal proposito, il modo in cui qualche mese fa lo stesso ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, denunciò la mole di morti dovute proprio all’impiego di trattori e ad altri strumenti di lavoro non più idonei.
Al triste capitolo degli infortuni mortali si accompagna, come abbiamo brevemente accennato in apertura di articolo, la piega del caporalato: il caso più recente, già riportato nelle righe precedenti, parla di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di 67 extracomunitari ospitati nel Cas di Piombino, e che venivano impiegati per la raccolta di ortaggi e olive e per la pulizia di vigneti nelle province di Livorno e Grosseto; ma solo negli ultimi mesi si è parlato di “razzismo e condizioni disumane” anche nelle scintillanti terre del Barolo.
Da una parte abbiamo dunque una realtà evidentemente costellata di ombre amare ma ben radicate, dallo sfruttamento diffuso al comune impiego di macchinari inadeguati e pericolosi, e dall’altra una retorica di eccellenza che fonda la propria pretesa di grandezza anche e soprattutto nel patrimonio enogastronomico del Paese. Attenzione, però: a convincerci troppo che sia tutto rose e fiori, a girarsi comodamente dall’altra parte, a nascondere la polvere sotto il tappeto, si rischia di dimenticare che la realtà è diversa.