Abbandonando lo spazio e i progetti culinari della NASA, torniamo sulla Terra: qui nel settore dell’agricoltura un po’ da tutto il mondo arriva l’allarme relativo ai raccolti dimezzati. Il che vuol dire rincari per quanto riguarda grano, pasta e pane.
Qualche tempo fa il Canada aveva annunciato che uno dei suoi principali porti per l’export del grano sarebbe rimasto chiuso per un paio di anni a causa di lavori. Il che tradotto vuol dire: quel poco di grano duro presente sul mercato, visto che proviene soprattutto da Canada e Stati Uniti, sarà carissimo.
Alessandro Santi, presidente di Federagenti (associazione degli agenti marittimi nazionali), ha fatto il punto sulla situazione. A causa della siccità, la produzione di grano si è ridotta drasticamente e anche la quota di export è prossima allo zero.
Questo vuol dire che a rischio è anche l’industria della pasta, uno dei vanti del Made in Italy. Santi ha dato qualche dato: da gennaio i prezzi sono aumentati del 75%. Una tonnellata di grano duro è passata a costare da 350 a 600 euro.
I paesi da cui solitamente compravamo il grano hanno subito un blocco dell’export a causa del crollo dei raccolti del 50%. Così questi paesi hanno deciso di vendere il poco grano prodotto a chi offriva di più.
In Italia serve tantissimo grano: fra il 2019 e il 2020 l’import è cresciuto del 30%, arrivando a 3,2 milioni di tonnellate. Ma quest’anno bisognerà rassegnarsi e chiudere sui livelli di due anni fa, sia per motivo di costo, sia perché nel 2020 c’è stato un boom a causa del lockdown.
È il Canada a fornire circa la metà del grano duro che importiamo, il resto arriva dagli Stati Uniti. Per il grano tenero, invece, utilizzato soprattutto per fare il pane, importiamo da Ungheria e Francia. Ma anche in Europa la produzione di grano è diminuita.
Un appiglio lo si potrebbe avere dall’Australia: anche qui si produce parecchio grano, solo che i costi di trasporto sono ancora più alti. Secondo Santi, poi, anche eventuali altre alternative sarebbero ancora più problematiche. Sarebbe facile, infatti, importare dalla Russia, solo che a causa dei dazi e delle tensioni internazionali non è possibile.
E non è neanche pensabile tentare di aumentare la produzione nazionale: i concimi sono pressoché introvabili, con la Cina, produttrice di quelli fosfati, che rifiuta di venderli per motivi ambientali. Pechino, infatti, sostiene che inquinino e che siano difficili da gestire.
Produrre i fertilizzanti azotati, invece, richiede un grande dispendio di gas naturale. Santi sottolinea che, in teoria, non rischiamo di rimanere senza pane e pasta perché la soglia minima di import dovrebbe essere garantita. Anche se questo assunto è valido solo fino a quando si riuscirà a trovare il grano.
Il problema saranno i costi: inevitabilmente i rincari andranno a ricadere sui consumatori finali.