Per contoterzismo in agricoltura si intende il lavoro realizzato dalle imprese agromeccaniche (ma non solo) che, utilizzando i propri mezzi, lavorano i terreni e i campi delle aziende più modeste che non possono permettersi operazioni del genere. In Italia, con le piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale (e la polpa) del settore, si tratta di una pratica che vanta un giro d’affari di circa 7,7 miliardi, e che coinvolge circa 537 mila aziende agricole.
Le lavorazioni in campo possono essere di diversa natura: dalla semplice mietitura o trinciatura all’aratura e alla semina, ma perfino l’interramento di reflui zootecnici alla distribuzione di mezzi tecnici come fertilizzanti o diserbanti. Operazioni che possono sia essere effettuate sia dalle imprese agromeccaniche professionali (come accennato in apertura) che da altri imprenditori agricoli con le macchine di proprietà come “attività connessa”, e cioè assoggettata al reddito agrario in quanto parte integrante dell’attività agricola. La pratica, considerando il tessuto imprenditoriale nazionale, è destinata a durare, ma questo non significa che non manchino i nodi da sciogliere.
Uno, ad esempio, riguarda la relazione tra le imprese professionali e le aziende agricole che operano in regime di attività connessa: si stima che una fetta rilevante del lavoro svolto in conto terzi sia svolto con macchine obsolete e non revisionate, mentre le imprese professionali investono continuamente su tecnologie all’avanguardia (con costi naturalmente maggiori). Un secondo nodo è costituito dall’accesso alle fonti di finanziamento: se l’attività agromeccanica è svolta da agricoltori viene considerata, come abbiamo già visto, connessa all’attività agricola; ma per i contoterzisti non valgono le stesse regole.
“Pensiamo soprattutto a giovani imprenditori agromeccanici che vogliano investire” spiega il presidente della Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani (Cai), Gianni Dalla Bernardina. “I Piani di sviluppo rurale potrebbero equipararli agli imprenditori agricoli e garantire loro un sostegno agli investimenti che, alla fine, finirebbero comunque per avere ricadute positive sulle aziende agricole. Alcune regioni come Lombardia ed Emilia Romagna stanno prevedendo qualcosa in questo senso. Ci auguriamo che anche altre regioni aprano a questa possibilità”.