Il nome è quello altisonante delle grandi occasioni, il carattere di quel tipo che tanto piace alla pancia: la Giornata Nazionale del Made in Italy è realtà, e nasce per – e qui, badate bene, citiamo direttamente la parole dell’omonimo ministro Adolfo Urso – “evidenziare l’eccellenza, la creatività e l’ingegno che contraddistinguono i prodotti italiani nel mondo”.
La giornata del Made in Italy si festeggia il 15 di aprile, giorno che di fatto segna l’anniversario della nascita di Leonardo Da Vinci, e come accennato in apertura di articolo vuole immediatamente ed evidentemente fare propri i connotati della “festa grande” organizzando centinaia di eventi in ogni Regione, al fine di “evidenziare le specificità e le tipicità dei nostri territori”.
La giornata del Made in Italy, tra autocelebrazione e competitività
Non guardateci così, non è che vogliamo per forza vestire i panni dei guastafeste: ammetterete, però, che viene oggettivamente difficile ignorare il carattere prepotentemente autocelebrativo dell’occasione. E per carità, se di tanto in tanto è pur cosa buona e giusta fermarsi qualche minuto di troppo per ammirarsi allo specchio, sarebbe comunque bene ricordarsi che trattenere il respiro per nascondere la pancia e gonfiare il petto non è una scelta lungimirante o particolarmente efficace.
Ci spieghiamo meglio – il concetto di “Made in Italy” e la retorica che lo circonda galleggia evidentemente in un mare di presunta eccellenza: ciò che è “fatto in Italia”, in altre parole, dovrebbe comunicare e garantire una patente di alta qualità e, perché no, anche di una certa raffinatezza. Il concetto è naturalmente ampio, e affonda le sue radici in un gran numero di settori – “Dalla moda al design, dal cibo all’arte”, per citare ancora Urso -, ma su queste pagine non possiamo che trattare di cibo e del cortocircuito semantico che viene a innescarsi se valutiamo che, a oggi, l’agricoltura italiana è sorretta primariamente dai lavoratori immigrati.
“Il nostro Paese è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo anche per la qualità delle sue produzioni” ha continuato Urso. “Insieme, possiamo fare ancora di più per far crescere il Made in Italy e renderlo sempre più competitivo nel mondo”. Già, a tal proposito: non possiamo fare a meno di chiederci se uccidere sul nascere una filiera di potenziale eccellenza come quella della carne coltivata, che sì avrebbe potuto proiettare il concetto di Made in Italy verso una interessante posizione di pionierismo innovativo, possa essere considerato come un modo per “renderlo più competitivo nel mondo”. O forse esiste un Made in Italy di serie a e di serie b?