Ce l’eravamo posti anche noi, il problema dei sistemi di filtraggio dell’acqua del rubinetto, chiedendoci per quale ragione il Governo desse dei contributi a chi li installava a casa propria, con il Bonus acqua potabile 2024. Il sillogismo è quanto mai semplice: se l’acqua del rubinetto è buona e controllata, come sostengono le autorità, allora perché incentivare – con i soldi pubblici – l’utilizzo di sistemi di filtraggio che sostengono di migliorane la bevibilità e non lavorare, invece, sul raccontare meglio la potabilità delle nostre acque disincentivando il consumo di acqua in bottiglia, su cui l’Italia batte ogni record? Oppure, magari, lavorare sulla sensibilizzazione all’eccessivo spreco delle risorse idriche, o sull’ottimizzazione delle tubature, visto che nel nostro Paese ogni anno si sprecano 151,469 miliardi di litri d’acqua?
Va a finire che, per fortuna, non siamo gli unici a sottolineare il problema: ora anche il Codacons ha presentato un ricorso al Tar del Lazio in materia di acqua potabile, portando dinanzi ai giudici la questione degli apparecchi sempre più diffusi in Italia per il filtraggio e trattamento delle acque.
Cosa chiede il Codacons
“Negli ultimi anni si è registrata nelle case italiane e negli esercizi pubblici come i ristoranti una crescente diffusione di dispositivi destinati al trattamento di acque finalizzate al consumo umano – spiega il Codacons – Trattamenti che non hanno lo scopo di rendere potabile un’acqua che non lo sia già morfologicamente, ma di consentire modifiche nelle caratteristiche organolettiche, ossia di “raffinare” le acque per utilizzi domestici”. Insomma, i sistemi di filtraggio non rendono potabile un’acqua che non lo è, e su questo, probabilmente, sarebbe utile una maggiore chiarezza, tanto per iniziare. “Il Ministero della Salute col decreto 7 febbraio 2012, n. 25 recante “Disposizioni tecniche concernenti apparecchiature finalizzate al trattamento dell’acqua destinata al consumo umano” si prefigge di “garantire che i trattamenti non pregiudichino la qualità delle acque, già idonee sotto il profilo sanitario, che le apparecchiature di trattamento garantiscano gli effetti dichiarati e che l’informazione completa sugli effetti dei trattamenti sia adeguatamente fornita al consumatore”, ma non prevede specifici controlli da parte delle Autorità sanitarie competenti proprio sulle acque trattate e/o filtrate utilizzate in commercio”, continua il Codacons.”La normativa vigente riduce ad un mero onere del produttore/distributore la conformità del dispositivo destinato al trattamento delle acque ad uso umano, andando a sostituire di fatto il controllo da parte delle Autorità sanitarie competenti, quali enti imparziali e con maggiori garanzie sulla qualità del prodotto destinato ai consumatori”.
L’utilizzo di apparecchiature per il trattamento delle acque può avere anche ripercussione sul fronte sanitario: a seconda delle tecniche usate, può ridurre o anche eliminare minerali come ad esempio il calcio e/o il magnesio (nella tecnica a osmosi inversa), nonché comportare al contrario un aumento del sodio (soprattutto nella tecnica di filtrazione a scambio ionico) fortemente sconsigliata, a fini preventivi, per tutta la popolazione (ed in particolare per chi soffre di patologie quali diabete, ipertensione ecc.) – spiega ancora il Codacons nel ricorso.