Il 40% dei kiwi scartati erano davvero troppi, soprattutto considerando che la maggior parte degli scarti avvenivano non perché i frutti fossero andati a male ma per imperfezioni nella forma o nel peso. Allora l’azienda familiare Ferrari ha avuto l’idea, e l’ha sviluppata insieme all’Università di Firenze e a quella della Tuscia, fino ad arrivare a brevettare l’aceto di kiwi. Aceto, glassa e composta: questi i prodotti testati dalla startup l’Agro del kiwi, creata per seguire autonomamente la produzione.
La famiglia Ferrari, come racconta il sito Agrifood Today, coltiva kiwi nell’agro pontino dal 1988: il Lazio è la regione che produce più frutti in Italia con 9.000 ettari di coltivazione. Producendo biologico, spesso i kiwi pesano 60 grammi o meno, mentre lo standard imposto dalla GDO è sui 65 grammi. Un grande spreco che incerti casi arrivava al 40% della produzione: in azienda pertanto si era provato a fare il vino, ma con scarsi risultati. Un avanzo di quella prova però era fermentato ulteriormente producendo qualcosa di simile all’aceto, e da lì è partita l’idea.
Il brevetto dell’aceto di kiwi risale al 2014, del 2016 sono gli studi universitari che ne dimostrano le proprietà sensoriali, nel 2019 la messa in commercio. E poco dopo, la pandemia. Ma la ricerca non si ferma, e tra poco dovrebbero essere inserite nel ciclo di trasformazione delle vasche in calcestruzzo vetrificato, il cui silicone deriva a sua volta da scarti. È un prototipo fornito dal laboratorio Phytolab del Polo scientifico e tecnologico dell’Università di Firenze.