A Taranto una start up ha trovato il modo di riutilizzare i gusci delle cozze (ma non quelle dei ristoranti)

Da gusci di molluschi bivalve a cemento ecosostenibile, ecco i dettagli del progetto: chi l'ha ideato, a cosa serve e perché aiuta a combattere lo smaltimento illegale.

A Taranto una start up ha trovato il modo di riutilizzare i gusci delle cozze (ma non quelle dei ristoranti)

In un mondo che chiede una tregua a gran voce, un’azienda italiana ha trovato il modo di portare il riciclo ad un livello decisamente superiore: raccogliere gusci di mitili e altri molluschi bivalve derivati dallo scarto nelle produzioni, per trasformarli in un cemento ecosostenibile. Il passaggio non è diretto (le cozze non diventano direttamente cemento) ma il progetto funziona negli ultimi tre anni ha avuto sostenitori del calibro di Shell Inventa Giovani, Faros, Cassa depositi e prestiti.

La startup si chiama W3DS (acronimo di “Wasted Shells”), con a capo la trentunenne Serena Lotto , il ventisettenne Matteo Peluso e il trentatreenne Michele De Siati. Da Lecce, Roma e Cremona i tre giovanissimi sono tornati a Taranto dopo gli studi universitari, proprio per investire concretamente nel progetto.

Dalle cozze al cemento (combattendo anche lo smaltimento illegale)

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Dai gusci di cozze, vongole, noci e molluschi bivalve in genere si può estrarre carbonato di calcio. Proprio questo elemento è ridotto a base utile per farne cemento ecosostenibile destinato alla stampa 3D. Gli imprenditori di questo progetto lavorano da tre anni per realizzarlo, dopo l’intuizione iniziale: “ci siamo costituiti come impresa a gennaio ma è un progetto che è nato da tre anni godendo del sostegno di varie realtà come Shell Inventa Giovani, l’acceleratore di startup Faros, Cassa depositi e prestiti, che ci ha dato una rete enorme e anche dei fondi importanti per iniziare, Pni, StarCup Puglia.  Non trattiamo rifiuti ma scarti di lavorazione prodotti da chi lavora mitili e molluschi“.

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Non si pensi tuttavia alla quantità di gusci scartati dai ristoranti o a quelli che buttiamo noi a casa nell’indifferenziato dopo le impepate di cozze estive. Altro che indifferenziata, i tre giovani puntano ad altro e a ragion veduta: “andiamo a recuperare lo scarto dalle grandi aziende che si occupano della lavorazione a mezzo guscio, per la produzione delle vaschette di cozze che si trovano comunemente in pescheria“. Si punta sulle aziende per un motivo ben preciso: così “è tutto tracciato. Compriamo e ritiriamo i gusci semilavorati, vuoti, da aziende preposte, che sono principalmente su Taranto ma non solo. Così si certifica che quei volumi non vengono smaltiti illegalmente(dal momento che smaltirli costa quasi 250 Euro a tonnellata, ndr) e quello che sarebbe stato destinato ad essere un rifiuto diventa la base per qualcosa di nuovo, pulito, green“.

Perché non possiamo riciclare i gusci scartati dalla ristorazione

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Non è possibile recuperare anche i gusci buttati dai ristoranti perché la legge non li definisce rifiuti, essendo essi contaminati con olio e altri condimenti. I fondatori di W3DS stanno cercando di cambiare le cose, così da riciclare ancora più scarti preziosi: “noi su questo siamo in prima linea insieme ad altre realtà del settore, per chiedere che la legge venga modificata e lo scarto di lavorazione della ristorazione possa essere considerato da rifiuto, una materia prima seconda“.

Niente case per noi (per ora) bensì nuove barriere coralline

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Non è da escludere che questo particolare cemento sia prima o poi impiegato nell’edilizia, ma per il momento è destinato alla natura. O meglio, torna alla natura. Lo spiega Serena Lotto: “stiamo sperimentando macinato per le esigenze specifiche di un progetto di ricerca che prevede la realizzazione di barriere coralline artificiali, che verranno stampate a breve”.

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Un pensiero all’habitat marino insomma, quello che viene danneggiato inesorabilmente dall’uomo, a che a causa di pratiche dannose come la pesca a strascico. I giovani imprenditori concludono: “per ora forniamo il materiale solo ad un’azienda specializzata, ma stiamo cercando di sviluppare ulteriormente la start up per occuparci anche della fase finale di stampa e distribuzione in natura. Non c’è nessuno che produce questi materiali sostenibili e noi stiamo provando ad inserirci in questa nicchia di mercato”.

Fonte: avvenire.it
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