Sono sempre più numerosi i ragazzi che vogliono fare il cuoco (o meglio, lo chef: stesso impegno ma atmosfera lessicale più nobilitante), e scuole e corsi di cucina lavorano a pieno ritmo. Ma l’enfasi televisiva e il divismo che ne è conseguito, oltre a creare una congerie di cuochi sottoccupati, hanno messo in ombra la professione di camerieri e maître, che per tutto il ‘900 è stata una specialità nazionale.
Per servire i clienti dei ristoranti di gran nome, nelle cene della cafè society, e su lussuose navi da crociera, il personale italiano era il più ricercato e retribuito. Per fare un esempio, ben 30 dei 37 italiani imbarcati sul Titanic erano camerieri, ingaggiati dal gestore del ristorante à la carte, pure italiano.
La realtà è che lo chef può anche fare miracoli o essere un bluff, ma chi vi serve è comunque in grado di svilirne il talento ovvero di guidarvi nello schivare gli intrugli preparati in cucina. Il maître è una sorta di antropologo, perché deve capire al volo chi sta per servire – osservandone abbigliamento, accenti, intenzioni. Deve avere memoria ed essere preparato – addirittura colto, quantomeno in tema di cibo. Deve cavarsela con le lingue, avere un buon accento anche in italiano, saper catturare confidenza e fiducia del cliente.
Spesso torniamo in un ristorante proprio perché ci sentiamo come a casa, e questo avviene soprattutto grazie all’intesa che si instaura con chi serve in tavola. Ora che anche i ristoranti più importanti devono tagliare i costi, si sta affermando la figura del maître-sommelier, ruolo centrale di tutto il servizio e con responsabilità formativa sul resto del personale di sala. Nei gradi più elevati della carriera, il maître diventa “restaurant manager”: a lui è affidato il piano economico del ristorante, quello che fa sì che l’attività non vada gambe all’aria. È insomma un lavoro che permette di fare carriera, adatto a persone ambiziose e appassionate del mondo del cibo, con un savoir faire che agli chef non è richiesto.
Tra i maître italiani più famosi ci sono Alessandro Tonberli dell’Enoteca Pinchiorri e Umberto Giraudo della Pergola. Mentre Beppe Palmieri della Francescana e il grande Antonio Santini del Pescatore governano sia la sala sia la cantina.
“Basso profilo e altissime prestazioni”, dice Beppe Palmieri, che, pieno di orgoglio professionale, spera in un futuro in cui “le classi di Sala e Cantina delle scuole alberghiere siano sold out e ci siano quattordicenni che sognano di diventare il più bravo sommelier del mondo o il più brillante e carismatico restaurant manager di sempre”.
Aspettiamo che anche in televisione se ne accorgano, magari con un talent show ambientato in sala anziché in certe noiosissime cucine.
[Crediti | Dalla rubrica “Cibo e Oltre” di Camilla Baresani su Sette, inserto del Corriere della Sera, immagine: Guardian]