Sarò sincero: detesto San Valentino, ma più di San Valentino detesto la categoria di chi odia la festa preferita da fiorai e commerciali della Perugina, obsoleta e decrepita, intrisa fino al midollo di retorica inerte, e appartenervi mi fa perdere punti. Però è così, è una ricorrenza che non ho MAI festeggiato, e fortunatamente quando mi è capitato di incrociarla da accoppiato le mie ragioni sono sempre state accolte.
E diciamolo, il primo e più importante motivo del mio disprezzo è che il 14 febbraio è per distacco il peggiore giorno dell’anno per andare al ristorante. Locali strapieni, in parte di gente che non sa comportarsi al ristorante perché non ci va mai, cucine e sale sotto pressione estrema, i tentativi di calmierarla chiamando personale extra sovente non all’altezza della situazione, menu imposti per tutti, all’insegna dei grandi classici degli anni Ottanta e Novanta, cuore caldo di cioccolato a eoni e abbinamento forzato di quei vini che in altro modo non si riesce proprio a smaltire.
Se bisogna festeggiare San Valentino, meglio farlo dando prova delle proprie abilità culinarie (o della capacità di mascherarne l’inadeguatezza, ove appropriato) e tirando fuori la bottiglia giusta dalla propria cantina personale.
In circostanze di corteggiamento, col vino mi è sempre andata bene. Le bottiglie dei miei (momentanei: si vincono battaglie, mai la guerra) successi più eclatanti le ricordo tutte:
- Dom Ruinart Rosé 1986,
- Munjebel bianco #4 Cornelissen,
- Granato 1997 Foradori,
- Brunello di Montalcino Riserva Intistieti 1995
- Soldera e via discorrendo.
La bottiglia, ovviamente, va cucita addosso alla commensale come un abito d’alta sartoria, per cui è impossibile dare consigli generali, se non uno: scegliete un vino che vi piace e avete voglia di bere: solo i deboli si piegano a bere vini che disprezzano nel tentativo di compiacere un’altra persona, per giunta se la serata dovesse andare male potrete quantomeno rifarvi il palato.
Ma se dovessi consigliare tre bottiglie a prova di fallimento? Uhm, proviamo.
— Con lo Champagne non si sbaglia MAI. E ribadisco: mai. Aprite un vecchio millesimo solo se andate a colpo sicuro, sapendo che la controparte ha un debole per questa categoria così affascinante e particolare. Suggerisco di dare sfoggio di conoscenza enoica accantonando per una sera le marche più conosciute e tirando fuori dal cilindro la bottiglia di un piccolo produttore, un recoltant-manipulant di culto. Se è San Valentino è San Valentino, che diamine. C’è solo l’imbarazzo della scelta, e se è doveroso astenermi dal consigliare una bottiglia (Special Club Millésime de Collection 2002 Pierre Gimonnet) che in questo momento è il massimo dell’erotismo possibile, ma risulta irreperibile sul mercato italiano, vi dirotto sul Millesimé 2002 di Corbon (65 Euro), tra le migliori espressioni dello Chardonnay di Avize, uscito con una versione davvero felice che rivanga, dopo qualche giro un po’a vuoto, i fasti di questo produttore i cui millesimati degli anni Ottanta e Novanta sono culto assoluto.
— Alla seduzione del Pinot Noir non si sfugge. Dimostrate di dar valore ad eleganza e finezza sopra ogni cosa, tessendo le lodi dei grandi vini della Côte d’Or. Riuscire a bere un Borgogna di quelli giusti senza spendere un capitale sta diventando sempre più difficile, ma il Gevrey–Chambertin Vieilles Vignes 2010 di Fourrier (55 Euro) è un eccellente compromesso, vino di moderata concentrazione ma di precisione chirurgica, equilibrio mirabile ed eleganza indiscussa. Tutte doti che vi auguro possegga anche chi siede al tavolo con voi.
— Raccontatele una storia. Senza citare frasi inflazionatissime (“Gli uomini si innamorano di ciò che vedono, le donne di ciò che ascoltano. E’ per questo che le donne si truccano e gli uomini mentono”), un piccolo sfoggio di conoscenza e sensibilità muoverà di certo il vento a vostro favore. Scegliete il vino di un produttore che abbia una storia vibrante alle spalle e qualcosa da dire, e indubbiamente nel novero dei produttori cosiddetti naturali le storie non mancano. Storie romantiche di territori che si incrociano con i loro interpreti, per esempio quella del Barrosu, il Cannonau di Giovanni Montisci (27 Euro).
Vieni dalla Catalogna, sei parte di una grande famiglia di gemelli diversi. Gli Aragonesi portarono i tuoi consanguinei in mezzo bacino del Mediterraneo, e te su quest’isola che chiami casa, dove i tuoi vicini si chiamano Carignano, Bovale, Monica. Nel Rodano sei celebrato quanto il Syrah, se non di più, e sei il fondamento di vini tra i più grandi e celebrati al mondo; la Spagna che ti ha generato non ha mai smesso di amarti, e nel Priorato generi altri capolavori. E come dimenticare i grandi vini dolci del Roussillon? Ma tu, Cannonau, sei troppo spesso dimenticato fra le grandi uve d’Italia. Forse è colpa dell’isola e dell’isolamento, forse delle mode che hanno favorito altri vitigni.
Passate un intimo San Valentino.