♫ “Ma perchè ma perchè ma percheeeè … ma perchè non facciamo l’amore, garantisco è il sistema migliore …” ♫ e poi non me la ricordo più. E’ un vecchio pezzo, che era già piuttosto usato quando ero giovane. A parte le ovvie turbe giovanili non so perchè mi sia rimasto in mente ma so perchè mi è venuto in mente dopo il dessert.
La povera torta di mele all’olio di oliva, buona e scivolevole di suo perchè non troppo dolce, sacrificata sull’altare di una glassa all’acero di poco o nessun senso. Che naturalmente ha riportato il tasso glicemico alle stelle finendo per essere assimilata alla panna in bombola (“Spraypan” mi pare), quella che spruzzavamo direttamente in bocca (e vai di turbe).
Peccato, brutta chiusura di una cena così-così ma non proprio da buttare. Che poi Erba Brusca, stessa gestione che ha dato vita al Ratanà di Milano, con l’innesto in cucina di Alice Delcourt, è un po’ come Cuneo … se provieni da est non ci arrivi mai … ma se arrivi da Milano è bello il diradare lento di edifici e automobili fino a ritrovarsi su una sponda del naviglio pavese che attacca la “campagna”. Rappresentata da Assago, e poi Rozzano (sigh). Se non sbagli sensi unici e i cartelli li sai leggere puoi anche parcheggiare comodo. E se non avessi una isterica in macchina potresti anche rilassarti.
Si dica subito che il piatto più convincente è stata la “vellutata di radici e mele con maggiorana e aceto balsamico 20 anni”, ma diciamo anche che per parlare di questo piatto conviene prenderla larga. Che siate personalità da balsamico o meno, il gusto è molto tenue, senza sapidità lavorate o punte di gusto acuite (riflessione filosofica: forse è così che si vuole lasciar mangiare). Un buon piatto di fine inverno anche se per boccacce delicate.
Prima però c’erano stati gli agretti saltati con uovo poscié e bottarga, con la bottarga non riconosciuta, e una bella botta di “naturalità”, apprezzabile per dare il tono al locale con orto a vista.
Dove qualche dubbio si farà largo è nel filetto di salmerino speziato con insalata di cavolo rosso mele e crema al rafano. Troppi gusti, le mele sbilanciano il piatto senza essere fonte di particolare piacere, se qualcosa non serve si toglie e quello che non c’è non rompe (quasi cit.). Ma è soprattutto la quantità da mensa anni ’80 che non aiuta, pregasi vivamente ridurre le porzioni.
Menzione di disonore per l’altro antipasto, radicchio brasato alla saba con crema di lenticchie, semi di girasole e maggiorana nel quale, ancora, la quantità è esagerata e la crema di lenticchie assume un tono da “mappazzone” semisolido difficile da guardare anche se commestibile. Non indovinata la presentazione del piatto, con il radicchio che, più che brasato, pare morto e disteso sul mappazzone.
Peccato quindi per la maledetta glassa della torta di mele, che esalta il dubbio e fa dimenticare il buono. Compreso un vino (Bourgogne Aligoté 2010, Louis Latour) piacevole senza montarsi la testa e un pane ottimo.
Note finali: non accettano mancia su carta di credito (mah !) e in ogni caso gli spazi sono troppo stretti per tornarci di mia spontanea volontà.
80 euro in due, che per Milano va bene.
[Crediti | Link: Immagini: Marie Claire, Scatti di Gusto]