Dato per certo che nessun alimento può indurre un desiderio che non si prova, il buon cibo può tuttavia predisporre a uno stato d’animo gioioso, ben disposto a cogliere tutte le occasioni della vita. Afrodisiaco deriva da Afrodite, dea della bellezza, dell’erotismo e della lussuria, nata dalla spuma (afros) del mare, fecondata da gocce di sperma cadute dai testicoli mozzati da Crono a Urano, lanciati tra le onde.
In nome delle presunte proprietà afrodisiache della polvere di corno di rinoceronte (i cui accoppiamenti pare che durino almeno 45 minuti) e del pene di tigre, i bracconieri non danno tregua a questi animali ormai in via di estinzione. La credenza popolare attribuisce proprietà blandamente afrodisiache anche ad alimenti di più facile reperibilità: carni rosse, ostriche, scampi crudi, caviale. Il mondo vegetale fa la sua parte: avocado, banane, tartufi, ginseng, peperoncino… Per non dire della cioccolata, di cui leggenda vuole che Montezuma bevesse 50 tazze al giorno per sostenere le proprie capacità copulatorie.
La cucina impudica (DeriveApprodi, 144pag. € 12.30, con prefazione di Luigi Veronelli) è il ricettario erotizzante di un’anonima francese, una cortigiana degli anni Venti. Corredato da belle e licenziose immagini d’epoca, propone piatti piuttosto strutturati: a leggerne la composizione fanno pensare più a sonni postprandiali che ad ardimentose performance. Vi troviamo Il gran bollito con ammennicoli e salse, L’orgoglio di Apollo (testicoli di montone) ai gamberetti, La Trippa alla Venere (con piedino di bue e fagioli bianchi), I culetti bretoni al sidro (carciofi bretoni farciti di salsiccia e burro). Le ricette sono maliziose e corredate di aneddoti divertenti. I culetti al sidro, per esempio, sono una ricetta copiata dallo chef del Grand Hôtel di Dinard, che sarebbe stata inventata “per certi turisti inglesi dai gusti un po’ particolari, che leggono Oscar Wilde e fanno passeggiate al chiaro di luna”.
Curioso invece come la cultura giapponese si concentri sul versante dell’eros legato alla morte. Alcuni di voi avranno letto La casa delle belle addormentate (Mondadori, 248pag. € 15,00) l’algido capolavoro erotico del premio Nobel Yasunari Kawabata, pubblicato nel 1961: una vicenda di sesso senile sublimato, onirico, evocato adagiandosi accanto a vergini narcotizzate. Si inserisce in quel solco, in chiave contemporanea, La cena degli addii, di Ito Ogawa (Neri Pozza, 176pag. €14,50 ).
Sono racconti che descrivono una serie di squisite ultime cene, imbandite prima di suicidarsi, prima di morire di malattia, prima di lasciarsi per sempre, prima di sprofondare nell’Alzheimer. Qui, la piccola morte è data dal cibo anziché dall’orgasmo.
[Crediti | | Dalla rubrica “Cibo e Oltre” di Camilla Baresani su Sette, inserto del Corriere della Sera. Link: Derive & Approdi, Mondadori, Neri Pozza. Immagine: Cucina Burlesque]