Nell’ultimo mese la mia vita è cambiata. In peggio. Ho scoperto (fuori tempo massimo, visto che non è affatto un programma nuovo) Man vs Food. In peggio, perché è uno show inaccettabile. Ma alla fine, se lo metti su, lo guardi tutto. Invochi il distacco intellettuale per giustificarne il guilty pleasure (come fa chi lo definisce con accuratezza “un programma magnificamente americano”) e ti fai brutte domande. Su te stesso e sull’umanità raggelante che ti circonda.
Cosa succede in Man vs Food, in Italia trasmesso da National Geographic Channel, per chi non lo conoscesse? C’è un tipo tracagnotto e lombrosianamente americano rispondente al nome di Adam Richman. Il buon Adam – che a me piace chiamare Dick che trovo nome più centrato – si definisce un fanatico del cibo, ma è (consapevolmente, o no) la versione junky e antropologicamente inferiore di Anthony Bourdain. Un suicida in missione, il cui unico scopo è dimostrare che la colite non esiste, girando l’America (ma prima andava in Europa e immagino fosse più morigerato) a sfidare piatti contenenti lo scibile umano in termini alimentari. Cose inimmaginabili che ridicolizzano le versioni italiane dell’eccesso calorico, come il filone intero ripieno di Pippo a Tivoli, o la pizza da mezzo metro a Mentana! Ma che vanno oltre anche il “panino armageddon” che fanno al pub Kinsal di Nettuno e che probabilmente si ispira allo show.
Le sfide contemplano la presenza di una serie di ominidi alle sue spalle (al cui confronto i primi erectus appartenenevano al circolo di Vienna) che esultano e incitano il nostro mentre ingerisce panini con 1,5 kg di formaggio alla piastra, alette di pollo con la salsa più piccante dell’emisfero, hamburger con 3 kg di manzo, 8 etti di prosciutto, 2 barattoli di salse, o un panino di 2 metri in compagnia di Alice Cooper, si produce in una cronaca agghiacciante della dinamica mangereccia. A volte si immola anche nel ruolo del mentore, insegnando a qualcuno la respirazione e le tecniche per ingerire una ciotola di noodles con l’usuale kg di carne.
Vista una puntata le hai viste tutte: quella a cui ho appena assistito (e che a a quanto pare ha bruciato il mio decoder Sky, bestemmia costante: modalità on) mostrava Adam/Dick a Cleveland che illustrava le leccornie culinarie del posto, in contumacia con l’ufficio turistico che già soffre da anni la partenza di LeBron James. Ecco comparire un gyros con 1 kg di manzo (quota minima sindacale) e una salsa segreta annichilente o il mitico “ragazzo polacco”, panino con salsiccia, salsa piccante, insalata di cavolo, spalla di maiale (sì, 1 kg…) e la salsa Williams. “Un piatto di una bellezza unica”, ma anche no.
Il problema con Man vs. Food è la natura ricattatoria dello show: se lo stigmatizzi sei serioso come chi vede il neo-nazismo in Masterchef e rischi di passare per uno snob ostentatamente indignato che non comprende la natura ironica e volutamente eccessiva del programma, pure se il tuo curriculum presenta virulente compulsioni alimentari dall’adolescenza a etti di pasta ai peperoni in piena notte. Se lo apprezzi sinceramente hai delle turbe e sei da analisi dura. Se, infine, lo de-costruisci per trarne chissà quale esemplare gemma sociologica finisci per fare tutto il giro e cadere nella trappola hipster.
Intanto il decoder ha ripreso a funzionare e posso continuare a vedere il mio programma preferito…
[Crediti | Link: Antonio Benedetto, National Geographic Channel, Adam Richman. Immagine: Observer]