Non capita solo a New York di imbattersi in tipi imbarazzanti, che urlano nei ristoranti e svuotano i negozi sportivi per rivestirsi da capo a piedi in modo buffo. Nondimeno a New York, questi tipi sono spesso italiani. Una minoranza certamente funzionale all’affermazione di Eataly New York spiegata ieri dal New York Times, ma pur sempre una formica nel vaso dello zucchero.
Per amor di brevità e senso dello spettacolo, il quotidiano riassumeva così i risultati del neotempio dei gourmet newyorkesi. “Moma: 2,5 milioni di visitatori in un anno; Empire State Building: 3,5 milioni; Statua della Libertà: 3,7 milioni; Metropolitan Museum: 6 milioni; Eataly: 7 milioni”.
Che tradotto nel più pratico linguaggio dei numeri significa ricavi lordi per 70 milioni di dollari nel primo anno di attività. Più del previsto, innanzitutto, con una proiezione per il secondo anno di 85 milioni di dollari. Cifra enorme, superiore ai risultati di Cheesecake Factory, una delle catene di ristoranti con le migliori performance per metro quadrato degli Stati Uniti. Domani, quando festeggeranno due anni di apertura con una mega-cena e una torta di cioccolato da 4 piani, i principali investitori, gli italo-americani Joe Bastianich e Mario Batali –entrambi non accidentalmente cuochi superstar– avranno di che fregarsi le mani.
E ovviamente Oscar Farinetti da Alba, che due anni fa, alla vigilia dell’apertura, aveva affidato proprio ai lettori di Dissapore sogni e paure dell’avventura newyorkese.
Chissà se questi risultati, poco intaccati dalle critiche dei blogger newyorchesi (“sovraffolato, parco divertimenti, servizio non all’altezza, follemente caro”) e il conseguente piano di espansione (nel mirino aperture a Chicago, Los Angeles e San Paolo del Brasile) avranno persuaso scettici e diffidenti, all’epoca poco convinti che il Made in Italy vincente fosse quello di Eataly. In alcuni casi veri professionisti del “continuiamo così, facciamoci del male”.
[Crediti | Link: New York Times, Dissapore. Immagine: New York Post]