Per intenderci, se vi piacciono i ristoranti di tendenza, tipo: 1) quelli arredati da Philippe Starck e i suoi epigoni e ospitati in sale hi-tech minimaliste. 2) Quelli al servizio di chef giramondo preferibilmente corredati di stage presso impronunciabili ristoranti orientali. 3) Quelli dove la perfezione algida del servizio e dell’accoglienza sono più consoni a un collegio svizzero che a un posto nel quale si pranza con amici. Ecco, allora non avete motivo per recarvi a Vairano Patenora, 6400 anime in provincia di Caserta sulla strada per Roccaraso. Qui infatti, ai piedi di una collina sulla quale si arrocca un borgo medioevale con il castello dell’XI secolo, il signor Martino ha aperto una trattoria-pizzeria per cerimonie e avventori di passaggio nel 1964, dotandola anche, come usava al tempo, di camere defatiganti al piano superiore.
Il nipote Renato, ragioniere avviato agli studi di giurisprudenza, non disdegnava di dare una mano, adoperandosi in sala prima e nella cucina poi. Per poi succedere al nonno nel 1990 motivato da una passione che ormai gli fa sfogliare più ricette che codici. Segue la ristrutturazione dei locali e una decisa sterzata. La cucina si fa ricercata ma senza fronzoli, con una carta delle vivande (e dei vini) consacrata dalla stella Michelin nel 2007, che soddisfa i palati più esigenti della regione.
L’inizio è un uno/due sorprendente: mazzancolla cruda con caviale calvisius e salsa al limone, e triglie con prosciutto d’anatra, tartufo nero e arancia. Entrambi buonissimi. Eppure il mare che non si scorge neanche dalla torre del castello. Mi incuriosisco. Lo chef poi mi spiegherà che l’amicizia con gli chef Gennaro Esposito e Alfonso Caputo, entrambi con lui nell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe gli sono valse le dritte per l’approvvigionamento della materia prima. Risultato: i 90 chilometri da Vairano a Vico Equense percorsi più volte alla settimana.
Dopo una buona zuppa di farro e baccalà sono tornato a km.0 con la guancia di manzo in crema di patate e zafferano oltre al il piccione con la mela annurca. Un piatto di pesce meno convincente e uno proprio da dimenticare (zuppa di carciofi, calamaretti e cedro candito) superati grazie ai vini campani al bicchiere, selezionati con attenzione per le piccole cantine. Alle premure di Luigi in sala, e a un’atmosfera piacevolmente rilassata.