Non vorrei infilare troppi cliché dentro la stessa frase, ma è nell’evoluzione del tempo, credo, che si vede il grande cuoco. Nella capacità di esporsi a un diluvio di sfide importanti e, invece di farsi prendere dal panico, specie in un contenitore in vista come il ristorante Trussardi, ombrellarsi e salire con la costanza di un “grimpeur” di montagna. Andrea Berton ci è riuscito. Nel corso degli anni è cresciuto il carattere della sua cucina, meno voli di Pindaro e piatti di ostica comprensione. Adesso è un piacere vedere un ristorante di questo livello che lavora a pieno ritmo anche durante il pranzo di un giorno feriale.
Certo, la sera guadagna in atmosfera, ma a pranzo la schiena dritta dello chef e di tutto il personale dispone all’assaggio. Stuzzichino curato, con foie gras, gelatina di birra e cocktail di birra e ginger con tendenza amarognola misurata, sfera di parmigiana di melanzane, meno eccitante il bon bon fritto di salmone.
Piatto complesso quello d’entrata con gamberi rossi di Sicilia crudi e cotti, amaranto croccante crema d’olio di oliva e sorbetto alla barbabietola: funziona l’avvicendamento delle densità. I ravioli di ortiche con zuppa di mozzarella e calamaretti sono così buoni da istigare all’ingiuria, e così, pur bullandomi che io certe cose, bleah, mai al mondo, esalto lo chef come una groupie. Da intenditori il merluzzo nero con asparagi verdi, limone salato e birra, più classica la variazione dell’anatra. Chi ama il crumble, si divertirà con quello al cioccolato, frutto della passione e gelato al tè verde.
Carta dei vini non epicamente post-impero ma comunque profonda, con scelte sapienti del sommelier consigliere, il Brazan 2001 de I Vlivi regala grandi soddisfazioni. Adeguato il servizio, sempre efficiente. Menu degustazione a 140 euro, stessa cifra, più o meno alla carta.
[Crediti | Link: Trussardi, immagini: Monica Assari]