E qui si mancava da un po’, da un bel po’. Talmente un po’ da non ricordarsi nemmeno quanto. Le ipotesi di “infighettamento” del posto si infrangono mentre commento soavemente agro con i commensali … e la signora di sala mi ascolta (forse) paziente. A volte rifletto: chissà cosa pensano quando vedono le facce di chi entra nei loro ristoranti. Questo è simpatico, questa è una natura morta, questo è uno s@*_-zo … io spero che entrando in un locale di me pensino: questo è un rompicoglioni.
Se leggessi questo pensiero negli occhi dei signori di sala mi sentirei davvero a mio agio, ancora più a mio agio che nel trovare il parcheggio fronte porta. Come ho trovato qui per altro.
Il Macello riesce a essere sobrio quasi quanto dovrebbe esserlo, pochi i ninnoli sopratono, poco o niente a fare il “vorrei ma non posso”. Mi piace. Nonostante un paio di credenze laccate a troppo lustro.
Anche i ravioli mi piacciono, ma non prendendo quasi mai appunti ricordo principalmente una salsa ristretta al vino e un ripieno di carni miste, oltre a una consistenza di pasta variabile ma tendente al corretto dente … purtroppo ricordo anche un tiepidume insolito che il piatto non avrebbe meritato. Da rivedere, ma solo nella temperatura di servizio. Girano anche bei carciofoni in “insalata” di verdure nella un po’ usurata moda del vaso di conserva, piatto leggero e interessante per la bella consistenza del radicchio amaro (credo “primitivo” ma non vorrei dire altre atrocità).
Il tempo della cotoletta più succulenta di Milano è tornato e la pretendiamo quasi tutti, ma evidentemente i tagli classici sono finiti e arriva invece una interessante composizione di vitello impanato (comunque alla milanese) con salsa di carota al cardamomo. Piuttosto shocked dalla forma inconsueta noto (anzi nota prima di me una gentile commensale) una persistenza di fondo dolce presente nei piatti, ripenso anche ai primi e non posso che confermare, qui è la salsa di carota. Curioso, sarà un caso? Niente di fastidioso, ma una nota durevole, si direbbe un “pianissimo” infinito, se qualche appassionato di musica si cimentasse nel descriverla.
Per il dessert non saprei cosa dire; da che (millanta anni fa) Domori smise la sua seria tavoletta di cioccolato fondente e sale, pare che più nessuno volle intraprendere quella strada. Ogni sorta di sale accoppiato a dolciastri e lattei sedicenti cioccolati mi ha sempre deluso. Sarò condannato alla mediocrità Lindt?
Qui invece la ganache di cioccolato incontra (se si può ancora dire “incontra” in un raccontino foodie) il sale affumicato che la unisce a una spalmata di gelato. Da annegarci dentro piedi e guanti compresi.
50 euro e abbiamo anche bevuto un vino, oltre all’acqua, alla focaccia e a piccola pasticceria. Tornabile, assai.
[Crediti | Immagine: Italian restaurant and recipes]