Non credo che il critico gastronomico Valerio M. Visintin abbia un vero pubblico tra i gastrofanatici. No, il suo obiettivo è infastidirli, e a onore del suo buon nome ci riesce sempre. Ogni volta che lo leggi c’è un passaggio che ti fa pensare: “ecchecca**o, non mi hai neanche detto cosa ti è piaciuto”. E subito dopo: “però questa frase vorrei averla scritta io”. Il punto è che, individuato il partito del benpensantismo gastronomico, che potremmo riassumere nel tipico lettore della guida Michelin, Visintin se la spassa tirandogli sassate. ‘Stavolta se la prende con il servizio. “Il ridicolo cerimoniale dei ristoranti d’alto bordo”, dove va in scena: “tutto il cliché di un bon ton anacronistico, da museo delle cere”.
Il bersaglio è il ristorante Marchesino di Milano, “creatura senile del sommo Gualtiero Marchesi (dove l’ambiente è così così, dove si mangia così così, dove il conto è grosso così)”. Dalla consegna dei tovaglioli fatta dal ragazzino “incartato nel frac”, al “valzer di figure in giacca nera costrette a singoli doveri”, chi alla consegna dei piatti, chi a prendere le comande, per cui non sai mai a quale devi rivolgerti. Dal sommelier che assaggia il vino prima di farlo provare al cliente, “ma, perbacco, è il mio vino!”, al pressante e “arbitrario rabbocco del bicchiere”.
La questione non è di poco conto, anzi, divide eccome. Ci sono quelli che vorrebbero ridisegnare i canoni del bon ton, e alle mangiatoie di lusso preferiscono umanississime trattorie. Ma anche chi esce da locali di livello senza che nessuno lo saluti. E chi viene servito da camerieri che rispondono al telefonino. O peggio, che li servono dopo altri clienti, in apparenza più abbienti, anche se sono arrivati prima. Aiutateci a capire, vale ancora la vecchia regola? E’ vero che il servizio perfetto è quello che non si fa notare?