Incassati dagli amici i sorrisi di circostanza che di solito si accordano agli psicolabili, sono andato a cena all’Osteria Francescana di Modena. Andata e ritorno 1200 chilometri. In 24 ore. Il 2010 è stato indubbiamente l’anno di Massimo Bottura: prima le malefatte della banda “Striscialanotizia” con interminabile codazzo di polemiche, poi, tra aprile e maggio, il sesto posto nella classifica di Restaurant Magazine, la “50’s Best”, poi la non fondamentale fondazione dei “Cavalieri della Cucina Italiana”, infine il clamoroso 19,75/20 dell’Espresso (senza contare l’attesa per l’olimpo della Guida Michelin).
Dunque, si va a Modena, in via Stella, con grande curiosità e aspettative cubitali. Però raccontare l’esperienza attraverso i piatti è inutile, ormai anche nei tabloid si leggono intreviste allo chef, i suoi classici appartengono alla letteratura gastronomica, perfino le creazioni più recenti son già state paparazzate da tutti i blog.
Allora giriamo intorno alle favolose “Cinque stagionature di Parmigiano”, all’”Anguilla che risale il Po” (vertice personale della serata), e allo storico “Croccantino di foie gras”, magari parlando d’altro.
Lo chef non è in cucina, è a Madrid per il tartufo, ma la sua assenza si nota solamente intorno al tavolo: la squadra ai fornelli affidata al secondo Yoji Tokuyoshi, è collaudata e affidabile. Tra l’altro, vederla lavorare in così poco spazio lascia sbalorditi, la cucina dell’Osteria Francescana è lontana un miglio dallo stile “sala operatoria” di altri ristoranti.
Passatemi una piccola provocazione: se avete dubbi sugli chef che “noncistannomai” venite all’Osteria Francescana, vi sfido a indovinare se Bottura è in cucina oppure no. D’altra parte, quando a governare la sala hai uno come Beppe Palmieri puoi allontanarti tranquillo. Negli anni, quello che sarebbe solo un sommelier (i miei 5 centesimi: il migliore d’Italia), ha affinato la chimica con Bottura al punto che la loro sembra quasi una fusione, immaginarlo altrove è impossibile. E i successi dello chef appartegono anche a lui, ascoltare come racconta un piatto è un piacere per i padiglioni auricolari, inappuntabile anche se parla di quadri. Ecco, i quadri. Non si va nei ristoranti per ammirare i quadri, obietterete, ma una galleria così strepitosa è roba da museo d’arte contemporanea.
Voglio condividere con voi un’ultima impressione. Nonostante il successo mediatico ai limiti dell’imbarazzante, l’Osteria Francescana rimane un ristorante per gastrofanatici. Più che altrove, a frequentare le sue sale sono gli adoratori del culto, i veri estimatori dell’erudizione gastronomica, più forchettoni che starlette, per farla breve.
Capitolo prezzo. Mangiare qui vale qualche sacrificio. Non è qualunquismo, credetemi, nemmeno voglio fingere di preoccuparmi per la vostra salute. Ma per un po’ di mesi, diciamo 6, sacrificate un pacchetto di sigarette alla settimana, vi regalerete un piacere che non nuoce alla salute. Perché voi valete!
[Fonte: Peperosso, immagini: Fabio Terzi, Francesca Moscheni, Giampiero Prozzo, Per-Anders Jorgensen]