Uno chef ha deciso di andare alle radici della cucina romana per restaurarla. Arcangelo Dandini è sceso dai Castelli (Rocca Priora, dove la famiglia aveva un ristorante) e, dopo il liceo classico, è tornato a fare il mestiere di famiglia: cucinare. Il diploma, anziché portarlo a intasare la lista degli “occupati a spese proprie”, cioè di chi svolge lavori intellettuali retribuiti meno di quanto costa creare l’occasione di lavoro, gli è servito per applicarsi a una ricerca filologica di quelle antiche e perenni pietanze che, da Apicio al Ghetto, dalla corte papale alla Roma umbertina, creano il nostro immaginario di cucina romana.
Nel 2003 ha aperto l’Arcangelo, diventato una sorta archivio di ricette della tradizione. Tradizione che Dandini interpreta sull’onda dei ricordi di quando era bambino e viveva in una famiglia con un ristorante da 1500 posti, senza congelatori: si mangiava quello che produceva il territorio durante la stagione, si consumava tutto, ogni mattina si ricominciava daccapo.
“Viaggio a Rocca Priora”, per esempio, è una squisita frittata di broccoletti (in altre stagioni sarà di ramolacce o mentuccia e pecorino), servita con ricotta calda e meringa, fegatini di coniglio, alloro e sgombro. Se andate da Arcangelo cento volte, ordinerete cento volte “Supplizio”: un magistrale supplì di riso, crocchetta di patata affumicata, alici di Cetara con croccante di mandorle.
I primi sono imbattibili: rigatoni Verrigni alla carbonara e spaghettoni Cavalieri all’amatriciana con pomodoro del piennolo, per non dire delle tagliatelle della casa tirate a mano, con la pasta un po’ spessa (“erta”) e ragù bianco di rigaglie di pollo, sedano, carota, cipolla. Dove si trova più un piatto così, stante la scomparsa delle interiora dalle nostre abitudini alimentari?
Non è finita: “Tre passaggi di un tormento aromatico” è fatto di saltimbocca di animelle di vitello, coda di bue alla vaccinara, pane burro e marmellata. C’è la trippa con menta romana, pomodoro e pecorino (che nella maggior parte dei ristoranti viene offerta salatissima, a forza di asciugarla riscaldandola, e qui invece ha una sapidità perfetta), e il baccalà cucinato sulla scorta di una ricetta di Marco Gavio Apicio, con il mulsum, vino rosso speziato con miele e pepe lungo.
Insomma: per un approccio filologicamente corretto alla storia millenaria di Roma, una visita da Arcangelo è caldamente consigliata. Il locale è dignitoso, con pochi tavoli. Per chi già lo conosce, c’è un’innovazione: un bancone con otto sgabelli, per pasti veloci con un menu ristretto, più svelto ed economico. A pranzo c’è un menu degustazione da tre portate per 25 euro, altrimenti quello da sei portate costa 50 euro.
Ristorante L’Arcangelo, Via Giuseppe Gioacchino Belli 59, Roma. Tel.: 06 3210992