Ogni volta che il cameriere ritira il piatto, in pizzeria come a La Tour d’Argent arriva la Domanda-Che-Contiene-Ogni-Domanda: “Tutto bene?”. Può arrivare secca come un colpo di carabina, oppure molle come le alghe sugli scogli. Sincera come le confessioni dei bimbi di terza o finta come le lacrime di una Soap. Subito dopo la sceneggiatura prevede diverse vie di fuga:
1) Sì, grazie. (Flaccido: le vivande erano mangiabili, ma fammi il conto che vado a casa)
2) Sì! Grazie! (Pimpante: tutto buono, che c’è adesso?)
3) Sih… (Sospirante. la pasta era scotta e la bistecca dura, ma sono qui con gli amici e non voglio farla lunga)
4) Ecco, la mousse di cosce di rana con gelato al rafano non era male, ma per la verità nel consommé di cervo con la pinna di pescecane si avvertiva troppo la melissa. (Ahò, io sono un gurmè, potrò dire la mia visto quello che spendo, no?)
5) Tutto bene, sì… (dubitativo. In realtà c’è qualcosa che non va, ma non voglio dirlo altrimenti lo chef diventa permaloso e si fa prendere da una convulsione nervosa)
Eppure, al cameriere scafato non sfugge la differenza tra un piatto mezzo pieno causa cliente sazio, e uno appena addentato perché venuto male. Lo chef potrebbe convincerlo a farsi spiegare dal cliente le ragioni del mancato gradimento. E potrebbe usare i consigli per migliorare la cucina. E potrebbe sostituire il piatto con un altro più appropriato. E potrebbe perfino tagliarlo dal conto se la critica è veemente.
A me è capitato solo una volta, in una sopravvalutatissima trattoria, che la gentile signora al tavolo mi portasse di sua iniziativa un altro piatto, perché il primo Le è piaciuto? No. No. No. Anche l’altro era poi terribile, ma si sa, basta il pensiero.
E voi, come reagite all’accerchiante domanda: TUTTO BENE?