A raccontare lo sbrocco vagamente isterico di Damon Albarn, uno di cui comprare le figu per i trascorsi con Blur e Gorillaz, è stato il sito americano Eater. Pur di consegnare al manager le sue impressioni a caldo, la popstar avrebbe interrotto il pranzo al ristorante Nobu di New York, e telefono alla mano, sarebbe uscito di senno.
“Improvvisamente è partita una canzone dove un tizio cantava a squarciagola delle str**zate melodiche, devi curare queste cose in un ristorante, non puoi semplicemente tenere la radio accesa o fregartene”.
Anche qui, su Dissapore, qualcuno ha detto più o meno le stesse cose.
“Chi ha un ristorante non deve proporre solo ‘servizi’, ma un mood, un’atmosfera riferita a canoni di accoglienza unici. Chiaro, c’è la buona cucina, la carta dei vini, il cameriere… ma i clienti vogliono di più! Il piatto giusto con la portata giusta, la glacette di design, le tovaglie precise, e la musica, un valore assoluto. A chi crede che mettere il CD di Giovanni Allevi in loop sia ‘figo’ dico che non c’è niente di più sbagliato. Specie nel caso di un ristorante stellato”.
Ci eravamo spinti fino a immaginare una carta dei sottofondi.
Pensate la gioia di avere sempre il pezzo giusto per ogni piatto. La Carta dei sottofondi: non so, Forbidden Colours cantata da David Sylvian sulla “Milanese di Pesce” di Massimo Bottura, Nothingness Nothing man dei Pearl Jam sul “Calamaretto Rimini Fest” di Mauro Uliassi, o Tangerine degli Zeppelin sulla “Croccante Espressione di Lingua” di Niko Romito. O ancora Mellon Collie and The Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins su “Uovo, patate e Speck” di Armin Maihofer, o per finire, i fusilli di Gennaro Esposito con Radar di Chris Whitley.
Peraltro, non tutti i ristoratori credono che la musica possa manipolare positivamente l’ambiente. Alcuni la evitano di proposito. Per loro sono altre le cose che contano, il cibo, lo staff, la mis en place. E poi, i gusti musicali sono personali, chi può decidere in anticipo se una playlist è buona o molesta?
Resta il fatto, e diventa necessario dirselo in fretta, che giustificare la scelta di avere in sottofondo una radio gracchiante infarcità di pubblicità o l’intera discografia di Richard Clayderman complica la vita dei clienti di qualsivoglia ristorante, così diventa impossibile concentrarsi uno sull’altro o tutti e due sul cibo servito.
Allora prendiamo posizione una volta per tutte. La musica migliora l’esperienza al ristorante? Come deve comportarsi chi gestisce un ristorante per non essere urticante? E da ultimo: fuori i nomi dei ristoranti bisognosi di lifting musicale.
[Crediti | Link: Eater, via Guardian, immagine: Prescriptive Music]