Partiamo da qui: “le vere signore non mangiano, trombano malvolentieri e bevono di nascosto. Le filiformi nobildonne d’antan si nutrono di sigarette e cinismo, non certo di stinchi con patate”. Un cosmico, fastidioso, costante cliché nei confronti delle donne di corporatura normale, se non addirittura magre, che stupiscono per la capacità fuori dal comune di ingerire carboidrati complessi in quantità da camionista bulgaro. E senza aumentare di volume in maniera significativa.
Riprendo lo stereotipo dal blog di Giulia Blasi su GQ. Vagamente sessita, ha attraversato anni e opportunità, revisionismi e disincanti, classi sociali e ideologie, la giornalista lo riassume con il breve ma efficace commento che gli uomini solitamente indirizzano alle donne poco vergognose di mangiare una cifra: “Ammazza quanto mangi, o varianti regionali“.
E le altre? Quando le altre, a un certo punto, si accorgono di quelle che mangiano come un uomo commentano spocchiose: Ma perchè quella sciroccata senza stile che si scofana con malriposto orgoglio nei confronti della sua magrezza 2 plateau di frittura e 3 piatti di linguine al pesce alla fine si è presa il tipo bello, spiritoso e (visto il conto che gli tocca pagare) probabilmente milionario?
Se ciò che capita a questa donna, la sciroccata, succedesse nella vita reale, magari a voi che non siete sazie dopo 3 forchettate di pasta, o non fingete di esserlo, non sarebbe scocciante tutta questa meraviglia? Se il nostro migliore amico che da tutta la vita consideriamo figo, se nostro cugino del quale da sempre siamo segretamente innamorate, se perfino quel catorcio del nostro fidanzato ci stringesse in “una nube greve di magna de meno”, non inizieremmo a sentirci grasse senza esserlo?
Ed ecco la vergogna.
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