Dato per certo che bisognerebbe nutrirsi di acqua e bresaola, e quel che non ingrassa uccide, sono a Roma con il problema di saziare una robusta fame di panini. A rischio di anatema se parlo ancora di Tricolore Monti, inauguro un nuovo glorioso mese di utilizzo della Visa puntando verso Open Baladin, in via degli Specchi, 6 – zona Campo de’ Fiori.
La dirò facile facile: un posto pazzesco con la birra protagonista indipendentemente dalla sua iconizzazione pop: beershop fatto con passione e oltre 100 etichette da asporto, dallo stile felicemente indeciso tra birreria, pub e bistrot.
All’ingresso colpo di teatro con vista mozzafiato sulla famosa parete di birra, un’irreale scaffalatura con cui tutti vorremmo arredare casa, al piano superiore soluzioni d’arredo inconsuete tra divani da rigattiere, tavolini bassi e tappeti appesi alle pareti. Sembra il frutto di un trust allucinato tra cervelli del marketing. Su tutto aleggia il mito di Teo Musso, che in tempi non sospetti, quando di birra artigianale italiana nessuno voleva sentirne parlare, ha avviato il pub Le Baladin in quel di Piozzo (CN) con annesso micro-birrificio omonimo. Micro allora, viste le dimensioni odierne.
A tre anni dall’apertura, tre anni di indubbi successi, l’arredo bohemien, diciamo così, mostra la corda, e non aiutano la sensazione di trascuratezza e soprattutto la poca pulizia, persino nei bagni.
Effetto centrale rispetto al successo la carta delle birre, in una parola: monumentale. Stampata giornalmente per tenere il ritmo degli ultimi arrivi, include una selezione di birrifici indipendenti (per l’appunto: open) senza confronto in Italia. Infinita la serie di birre alla spina.
Siamo al momento rivelatore: la fame da saziare. Al capitolo carne il menu recita hamburgher de La Granda, noto consorzio di produttori piemontesi; battuta di fassona piemontese; tagliata di bue, stavolta, danese; pollo in varie forme e tagli; wurstel trentini. Per i non carnivori caesar’s salad e mozzarella di bufala al piatto, infine le autoproclamate “mitiche” fatatine (5 €) e fatatone (7 €), le chips dell’Open servite con salse a scelta.
Con il locale gremito in ogni ordine di posti dal mio tavolo (siamo in due) parte questa richiesta: fatate e fatatone, un cheeseburger del norcino con pecorino di Pienza e guanciale (prezzi da 8 a 14€), un burgher Halloween (14 €), due birre alla spina: Saison di Baladin e Duchessa di Birra del Borgo.
Le Fatatine arrivano subito. Sono chips tagliate a sfoglia sottile servite insieme al ketchup, fatto in casa e squisito. A ruota le Fatatone, gustosi spicchi di patate fritte con la buccia, accompagnate da una salsa bbq dolce, ma non prepotente come amano gli americani, con il peperone in evidenza.
Tutto bene, molto bene, se non fosse per i vasi di latta che contengono i cartocci della patate, visibilmente sporchi.
Fatatine e fatatone già spazzolate e ancora niente birre. Me ne accorgo perché la lingua comincia ad attorcigliarsi e il palato infeltrisce. Non finisco il pensiero che arrivano nel caratteristico calice Teku ideato da Teo Musso, e con loro anche gli hamburgher.
Il pane è da applausi a spellamano, morbido e profumato, lievitato con delicatezza: un capolavoro. Salse impeccabili, buono il formaggio (svizzero), ma… LA CARNE? Controllo, sì la carne c’è, ma che delusione. Praticamente insapore. Non demordo. Mi alzo alla ricerca del sale perché sul tavolo non c’è. Dopo una generosa spolverata la carne recupera sapore, un altro andare. Ritento con l’hamburger di Halloween, andra meglio?
Altra storia. Se il pane con i semi di zucca mantovana resta un vero piacere, la carne è un diluvio di sapori, aiutata dallo speck grigliato al punto giusto e la zucca in agrodolce, oltre a un delicatissimo ketchup di cachi . Questa è una meraviglia, altrochè panino.
Sarà mertito dell’uomo in cucina? (Che, detto tra noi, mi sembra di avere già incrociato da queste parti).
Di tutte le domande che girano intorno al cibo, mi auto-rivolgo la più importante: piaciuto? Fifty-fifty sorvolando sulla pulizia. Però non voglio usare questo osservatorio privilegiato per aprire la bocca e dargli fiato. Facciamo conversazione: siete stati all’Open Baladin? Avete voglia di tornare?