Chef sulle navi da crociera della Royal Caribbean. Varie esperienze in ristoranti in giro per il mondo. Due anni a New York, altri due a Londra, altrettanti a Roma e uno a Hong Kong. Infine, consulente per una catena di ristoranti australiani. Ecco il curriculum del trentottenne Nicola Cavallaro, che tre anni fa ha rilevato il ristorante l’Ape Piera a Milano, in zona Navigli, poi trasformato nel locale che oggi porta il suo nome. Andandoci, ho avuto l’impressione di conoscere un serio artigiano della cucina. Piatti ben fatti, senza sbavature, a prezzi anche onesti per una piazza come Milano, soprattutto vista la qualità degli ingredienti.
Le contaminazioni orientali nella sua cucina si avvertono chiaramente nel primo piatto che arriva al nostro tavolo, “I crudi”. Non sono i classici crudi modaioli, buttati lì, come capita in troppi ristoranti, ma cinque piccoli assaggi che fanno a gara per aggiudicarsi la palma del migliore.
Finti ravioli di capesante ripieni di ricci di mare e caramellati. Zuppa di miso – Cremoso di barbabietola rossa all’aceto, scampo crudo e ricotta montata – Tartare di tonno con fragoline di bosco balsamico tradizionale e basilico – Gamberi rossi, mango verde, mandarino, peperoncino e coriandolo – Ostriche fines de Claire marinate all’Hendrick’s Gin con sorbetto al cetriolo.
Ecco, se avessi potuto mi sarei fermato qui, avrei chiesto magari il bis accompagnandolo con le migliori bollicine possibili. Mica perché il resto della cena non fosse all’altezza, anzi, solo che il mio compagno di tavolo pur di piacevolissima compagnia, non era al massimo della forma. Faticava a starmi dietro e io a mangiare da solo.
Non ho apprezzato come avrei dovuto i “Tortelli ripieni di astice, salsa al pomodoro confit e cipolla croccante: La Catalana”. E’ un problema mio, soprattutto con i primi piatti, gradisco meno il pesce abbinato al pomodoro rispetto allo stesso piatto cucinato in bianco.
Non ho rifiutato i “Ravioli di quaglia in tocio, zuppetta di ceci, aceto balsamico tradizionale” che il commesale, in palese difficoltà, mi ha offerto. Una bella sorpresa il secondo, “Fondente croccante di coda di bue, astice al rosmarino, salsa di porro e patate”, abbinamento azzardato ma molto ben riuscito. Ho chiuso piacevolmente con il dolce, una tripla versione di creme brulee. Al cocco, allo zafferano e allo zenzero.
Buono anche il servizio anche se il “tutto bene?” alla fine di ogni portata, stuzzichino di benvenuto compreso, metteva troppa pressione.
Una forza della natura, simpatica, appassionata, competente, informale al punto giusto è Chiara Giovoni, sommelier del ristorante. Ha accompagnato la nostra cena con tre vini. Furore bianco costa d’Amalfi 2008 di Marisa Cuomo, Moscato secco Sirio 2006 Vignalta e un Foja Tonda 2005 Vallagarina IGT di Albino Armani.