Dice il Corriere che Milano è la città d’Italia in cui si tradisce di più, e gli incontri adulterini si concentrano nell’orario della pausa pranzo. Ora voi vi starete chiedendo: ma come si spiega questo fenomeno? Bene, per fortuna da oggi la sociologia spicciola non è più limitata al fondo di Alberoni del lunedì! La risposta al quesito “perché Milano, perché la pausa pranzo” mi è infatti apparsa come una rivelazione ieri intorno alle 13:30, quando è arrivato il cibo che io e le mie colleghe avevamo ordinato ad uno chicchissimo servizio on-line di consegna di pietanze bio-natural-fricchettone.
Ora, per quanto io desideri mettervi in guardia dall’usufruire di questo servizio, non lo nominerò, perché ne dirò cose di tale crudezza che presumibilmente finireste per pensare che sono prezzolata da un fornitore concorrente, o, chissà, che il mio fidanzato ha un ristorante a Milano che offre un menu per il mezzogiorno.
Quando ho aperto la confezione 100% riciclabile che conteneva il mio sandwich, ho represso a fatica un sussulto di sgomento. “È normale che appaia così?” ho domandato ricomponendomi . “No, il ragazzo delle consegne ha rovesciato tutto, ma la cosa non è parsa turbarlo” mi hanno replicato. Superando l’iniziale resistenza che mi dava il mio pranzo, prontamente ribattezzato “la cosa”, l’ho assaggiato. Era cattivo. Davvero cattivo. E a corredo c’erano delle chips così umide che si piegavano a portafoglio senza spezzarsi. Alle ragazze non è andata meglio: nessuna di loro è andata oltre qualche boccone del suo piatto a base di seitan/tofu/cereali integrali, mentre io borbottavo “è per colpa di gente come [nome della società] che le persone scappano quando sentono parlare di cibo sano”.
Ora voi direte: bene, una singola esperienza sfortunata non ti convincerà certo a destinare la tua pausa pranzo all’adulterio! E potreste avere ragione, se non fosse che a Milano sulla pausa pranzo esiste una sorta di maledizione per cui è impossibile mangiare spendendo poco ed è molto difficile mangiare bene, e badate: non sto nemmeno parlando delle due cose insieme! Il nostro pranzo ci è costato circa 15 euro a testa, che per “la cosa” e una lattina di Coca non sono pochissimi. I bar del centro, dove si concentra la gran parte degli uffici, sono estremamente cari e in genere pessimi – e ho scritto “in genere” invece di “sempre” solo perché ho paura che il trust del panino a 7 euro mi intenti una causa milionaria, grazie all’enorme disponibilità di denaro che deriva dai margini di guadagno disumani.
Secondo esempio. L’altro giorno ho acquistato una piadina da portare via al bar sotto l’ufficio. Nello scomodo ruolo dell’avventore che vuole piadine multi-ingrediente, ho chiesto: “Potrei averla con rucola, scamorza, salsa rosa e gamberetti?” Responsabile piadine: “Mi dispiace, non posso metterle i gamberetti” Io (delusa): “Non ci sono?” Lui: “no, sono un ingrediente troppo costoso”. Costo della piadina – senza gamberetti: 8 euro.
Ma ora ditemi.
Come affrontate il problema dello scandaloso rapporto q/p della pausa pranzo a Milano? Portandovi la schisceta da casa? Mangiando il gelato anche a gennaio? Mangiando quotidianamente, nonostante i rischi cardiovascolari connessi, i panzerotti di Luini? O avete forse trovato un delivery di cibo commestibile? O, come dice il Corriere, vi nutrite soltanto d’amore extraconiugale?
[Fonti: Corriere.it Immagine: catchacheat.com (sic)]