Matteo Fronduti | C’è Manna per tutti

La prima volta che ti accosti a Matteo Fronduti in tenuta bianca da cuoco provi un senso di straniamento, e ti viene di guardare in giro dov’è la giacca di pelle da Hell’s Angel e la Harley Electra Glide parcheggiata. Con i baffi a manubrio e il petto di così vaste dimensioni te lo immagini alle prese con bielle roventi, boccali di birra e bionde pettorute. Invece ti stringerà la mano a mezza forza per evitare fratture agli ossicini, e scoprirai facilmente in lui dietro l’aspetto burbero e la voce grossa una insospettabile gentilezza d’animo. Basta leggere il menù, che abbandona definitivamente le declamazioni dannunziane di piatti ed ingredienti e percorre la via di una liricità sarcastica e non priva di qualche deriva lisergica. Chiamare “Uè, testina” un piatto di testina a Milano richiede una buona dose di autoironia, non meno di “Broccola la cozza”, naturalmente un timballo a base di broccoli, cozze e (tanto) peperoncino fresco. Il riso giallo del Manna si chiama “Quasi Milano”, e sfiora il cuore della ricetta tradizionale in una ennesima declinazione: sagace il midollo crudo ridotto a sfoglia in grata tensione con la sabbia di pane croccante, che aggiunge una vena di voluttà ad un riso ben al dente seppur affondato in una mantèca piuttosto spessa. Bellissima scenografia per il “Riassunto di cassoeula”, un piatto solidamente terragno asciugato e alleggerito in cui gli spezzoni di carne della tradizione sono ridotti ad essenza: zampetto dorato e fritto, costina disossata, salciccia al rosa, un filetto laccato – forse l’anello debole della catena – adagiati sulla verza arrostita.

Il “Precolombiano” è un dessert bellissimo, un “finto bunnet” particolarmente riuscito, con gli zuccheri perfettamente controllati da una composizione aromatica semplice e diretta, su tutto un godibile ricordo di caramello che abbraccia il palato a lungo.
Una cucina meneghina contemporanea, solida e quanto mai concreta, che si concede ai lazzi solo sulla carta: nel piatto tanta sostanza in uno stile definito e lucido, con pizzi e macramè solo nelle architetture. Tutto sommato in sintonia con la scelta del design minimo, asciutto ed in qualche modo radicale dei cassetti che escono dalle pareti e delle grosse bolle luminose appese al soffitto, perchè Matteo scrive la sua cucina così, a caratteri di scatola, facilmente leggibili e subito acchiappanti magari al prezzo di qualche grossezza.
La sosta al Manna è piacevole per la carica di innata comunicativa dello chef, per la accattivante semplicità dell’ambiente e per i bei bicchieri che ti potrai concedere, grazie ad una scelta molto poco mainstream e all’educazione della colonna dei prezzi.

Manna
P.le Governo Provvisorio 6 – Milano
t 02.26809153

www.mannamilano.it
Niente Degustazione, ma c’è la possibilità di avere alcuni piatti a mezza porzione.
Per la cavalcata di quattro ci vogliono 47 eurini