Prima colonna. Controllo infantilmente ogni orpello appeso alle pareti. In uno c’è scritto “Ambasciatrice nel mondo della mozzarella di bufala Campana Dop”. Lo firma il Consorzio di tutela. Evidente, perciò, il motivo per cui la prima cosa ad arrivare in tavola è “biancadolio” entrèe addirittura “multisensoriale”. Una riggiola quadrata smaltata di bianco, un bicchierino e un mp3. Cuffia nelle orecchie: una voce prima ti invita a bagnare le dita nell’acqua lattiginosa per inumidire il bocconcino di bufala, poi a farlo rotolare sulla scia di polvere di pomodoro e infine, sempre con le mani, di portarla alla bocca. Il resto non riesco ad ascoltarlo, profondamente impegnato col palato a sentire l’esplosione del pane cafone, del riso fritto, dell’olio e dell’acqua di pomodoro nascosti dentro la piccola sfera bianca.
Seconda colonna. Ce n’é più d’una, per la verità, all’ingresso. Altre sono nella sala. Spaziosa e muta, che intimorisce un po’, con le tende bianche alle finestre e fuori scorci della Reggia di Caserta. Poi il tovagliato, la posateria, il pianoforte scuro, il granito lucido appena calpestato. Me lo aspettavo meno solene il ristorante Le Colonne.
Terza colonna (ma non in ordine di importanza). Lavapiatti nel risto di famiglia, dove entra giovanissima, pelapatate, poi in ruoli sempre più importanti. Si dedica alla pasticceria, baluardo del locale, ma non le basta. Viaggia, ama la cucina di amore vero. Primo stage da Vissani. Epicamente formativo. Scavalla l’Italia per il secondo stage. E’ in Spagna da Martin Berasategui. Si aggiorna ancora oggi ma in modo più piacevole, non sono mai meno di 30 i grandi ristoranti che visita in un anno. Chiamatela formazione. Oggi Le Colonne gira intorno a lei (aiutata da sorella e fratello), estro con pochi limiti, passione, femminilità.
Quarta colonna. Il menù. Codice miniato della tecnica di una chef. Ora in tavola c’è la Palla di mozzarella, signaturdish, come dicono i milanesi i cui genitori hanno investito nello studio delle lingue. L’idea qui è di sciogliere la mozzarella e rimozzarla con una farcitura di taglierini al basilico, infine adagiarla, impanata e fritta, su una salsa di piselli. Piatto che mi ci sdilinquisco.
La carne adesso. Pancia di vitello, riduzione di balsamico e mele, piatto la cui banalità è ampiamente riscattata dalla tecnica della doppia cottura (bassa temperatura prima, poi alta per combinare entrambi gli effetti sui grassi). Quindi la versione local della tonkatsu nipponica (cotoletta) fatta con pancetta di maiale nero e mozzarella. Non un piuma, diciamo.
Quinta e ultima colonna. Da campano ragiono a voce alta sugli ingredienti, se permettete. Da Alvignano, minuscolo comune limitrofo, provengono oltre ai latticini del caseificio Il Casolare, le birre artigianali Karma, la cui “Tazzullella ‘e cafè”, singolare bionda scura ad alta fermentazione con schiuma densa color cappuccino, accende il dessert: nel pandispagna all’interno del gianduiotto, nel fondente al cioccolato e in forma di gelatina.
Un piedirosso Cecubo Villa Matilde, irrobustito dagli otto anni in bottiglia, mi fa compagnia in questo incantato tour di sapori casertani. Roba che per restare nel mood mi tocca visitare l’altra Reggia, quella vanvitelliana. Entrambe aperte solo di giorno.