Ciao sono Tanya Gervasi, modella a New York. Si dice in giro che sia bella. Si dice molto meno che ho fatto studi gastronomici e mi piace molto mangiare. Per raccontare questa passione desideravo solo approdare su Dissapore. Che le cronache dalla Grande Mela abbiano inizio.
Le mode e gli eccessi vanno sempre stigmatizzati. Ma ci dicono anche qualcosa di noi. E delle nostre debolezze. Per dire, io ridevo di quelli che si svegliano alle 5 di mattina per mettersi in coda davanti alla Dominique Ansel Bakery (al 189 di Spring Street, in pieno South Village) e accaparrarsi un cronut. Finchè non ci sono andata anch’io.
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Un momento, non ho detto cos’è un cronut! Probabilmente ho fatto bene, visto che sono su Dissapore, ma non si sa mai. Parliamo di un ibrido tra un croissant e un donut (ciambella), che per qualche motivo astrale pare essere il cibo più cool della Grande Mela al momento. Tanto che ci si chiede se l’evento sia azzannarlo o partecipare alla coda.
Passiamo alla fredda e spietata cronaca e scopriamolo.
Ore 5: il suono della sveglia invade la mia relazione con il sonno. I primi pensieri sono da censura. Mando subito un messaggio a Nina, la mia compagna di avventura, per comunicarle che nonostante il sonno e le occhiaie non mi sarei tirata indietro. Lo stesso vale per lei, unica mia amica/modella immolatasi sulla via del cronut.
Ore 5:30: la metropolitana ha qualche problema (sì capita anche nella Grande Mela, e sì, noi modelle prendiamo i mezzi pubblici), mi tocca fare mezz’ora di strada a piedi, al buio e al gelo invernale di New York. Che bella vita quella di una gastrofissata! Ma non mi pento.
Ore 6: svolto in Spring Street e, ancor prima di chiedermi a che altezza si trovi la Dominique Ansel Bakery, svetta la sacra fila. Non è possibile che siano lì da prima delle 6! Ma è proprio così: mi rispondono che sono arrivati intorno alle 5:30… Mi sforzo di non giudicare; del resto sono anch’io qui con loro. Mi limito a sorridere e fare conversazione. Il primo della fila ha una valigia enorme ed è appena arrivato con un pullman da Boston. È arrivato presto e quindi ha pensato bene di venire a fare colazione con un cronut (o due). Mi sembra giusto, chi non lo farebbe.
Dopo di lui, c’è una coppia di amici e un gruppetto di quattro donne che sorseggiano beveroni inumani, formato XL di Starbucks, ridono e scherzano ignari della beffa che li attende: non potranno assaggiare il delizioso ibrido perché il locale apre solo alle 8 (pensavano alle 7:30) e a quell’ora devono presenziare come pubblico al Dr. Oz Show, un talk show americano molto seguito, condotto da un medico – almeno credo.
Poco male, alle 6 mi ritrovo a essere in quarta posizione nella fila. Il famigerato cronut si avvicina.
Ore 6:15: Sono passata da essere la quarta a essere la settima in fila, perché nonostante il regolamento sul sito dica chiaramente che non si può tenere il posto agli amici, esiste una certa flessibilità entro le 7 di mattina. Inoltre anche Nina era un po’ in ritardo quindi le stavo tenendo il posto. Piango dentro.
Ore 7: non sento più le dita dei piedi, ho freddo, fame, rare ma costanti inclinazioni suicide. Altre due persone si sono aggiunte al nutrito gruppetto davanti a me e la linea compassione/pazienza sta per naufragare. Datemi sta ciambella… pardon, un cronut. Mi ricompongo. Ma fuori siamo sui -10°. Proprio per questo motivo, solo per la stagione invernale sono stati “inventati” i winter pass, che vengono distribuiti intorno alle 7 e permettono di riservare il cronut, per poi tornare comodamente a ritirarlo verso le 10.
Nina e io ci guardiamo e ci diciamo che se abbiamo aspettato fino a quel momento, possiamo resistere fino alle 8. Per ammazzare l’attesa, però, chiediamo alla ragazza dietro di noi di tenerci il posto mentre andiamo a prendere un caffè caldo da Starbucks (infrangendo il tanto decantato regolamento, di nuovo).
Ore 7:20: inizia a nevicare. È improvvisamente commedia romantica: io e Nina ad aspettare i cronut sotto la neve a New York. Due commessi di D.A. Bakery escono e vengono verso di noi reggendo due vassoi con piccoli bicchierini di cioccolata calda e delle petite. Un gesto molto carino per scaldare l’atmosfera e rendere l’attesa più dolce. OK, ma potevano farlo un po’ prima, no? Per bilanciare la gentilezza, una ragazza esce dal locale e urla a gran voce il regolamento: si possono comprare massimo due cronut a testa. Il cronut di oggi è di cioccolato Valrhona con champagne e zucchero all’arancia sopra.
Ore 7:50: comincia il countdown! Qualcuno spera che aprano qualche minuto prima, ma è solo un’illusione. Non esiste pietà, solo gelo e pessimismo.
Ore 8: Ce l’abbiamo fatta! Le persone di fronte ne prendono due a testa e il dubbio assale anche me: quanti ordinarne? Nina non ci pensa su e ordina anche un macaron. Sono tutti felici e soddisfatti, ridono e scherzano. Io non vedo l’ora di sedermi e fare finalmente colazione.
Ore 8:15: Ci siamo… ho tipo l’ansia da prestazione. Prima di addentare questo coso lo osservo, lo annuso, lo studio (mmm da che parte dare il primo morso?) infine afffondo! Percepisco subito qualcosa di morbido: alla fine è una ciambella (prima eresia detta) e… sorpresa: ha il ripieno! Nina ed io ci guardiamo, in dubbio su cosa dire restiamo in silenzio e continuiamo a gustarci il sudato cronut.
Dopo un po’ le chiedo: “Ti piace?”. Nina è un po’ incerta “Ehm sì, è buono ma… diverso da quello che mi aspettavo”. “Hai ragione, non mi aspettavo avesse il ripieno e pensavo che fosse più croccante”. Bingo! Entrambe ci eravamo fatte un’ idea e ci aspettavamo qualcosa a forma di ciambella, ma che sapesse di croissant, invece è qualcosa di atipico, abbastanza unico.
Il problema delle aspettative è che il più delle volte si resta delusi. Mi è stato chiesto se vale la pena aspettare al freddo per assaggiarlo. Dico di sì, ma solo se armati di buon umore, autoironia e buona compagnia.
Non possiamo andare via, però, senza una foto con l’ideatore del cronut: l’unico e inimitabile Dominique Ansel. Indosso quindi gli occhietti dolci e la sfacciataggine tipica da modella. Chiedo a un commesso se mi chiama Dominique Ansel perché “noi due avremmo il piacere di fare una foto con lui”: cinque minuti dopo eccolo materializzarsi davanti a noi.
Dopo una breve chiacchierata – Di dove siete? Vi siete trasferite? Vi piace NY? – mi consiglia un ristorante italiano buonissimo sulla 6° avenue (Bar Pitti). Infine scattiamo la foto-ricordo. Uscendo compro un macaron anche io, Nina ha detto che è divino e ha ragione: meglio persino di quelli di Ladurée. Con Hermé se la giocano.