Fake di successo ieri su Facebook. Questa immagine è stata rilanciata da molte timeline malgrado la notizia palesemente falsa: no, Starbucks non apre in Italia. Ma ne abbiamo voluto parlare.
Lo premetto: questo non sarà un post neutrale. Io faccio parte della categoria di persone cui Starbucks non piace: non mi sono mai sentita attratta da nulla che contenga caffè se più grande di una tazza da cappuccino, e mi infastidisce come da Starbucks tutto, dalle pubblicità all’arredamento dei locali, sia così incredibilmente ruffiano, e sembri costantemente ripeterti “Sì lo sappiamo, siamo fighi, e i nostri cervelli del marketing sono strapagati”.
La più ricorrente descrizione che mi veniva fatta di un bar aperto dall’anno scorso a Bologna –all’anagrafe Itit, Sandwich Cafè– era “Tale e quale a Starbucks, solo che non è Starbucks”. Per i motivi di cui sopra, ho bellamente ignorato l’esistenza del bar, almeno fino a quando mi è stato possibile. Fino a quando, cioè, la loro pagina Facebook ha superato quota 1720 “mi piace”. E fino a quando girare per il centro di Bologna senza imbattersi in bicchieroni giganti che armavano persone dall’espressione tremendamente orgogliosa è diventato impossibile. A quel punto, ho deciso di provarlo.
E’ un posto piacevole, niente da eccepire. Ci sono divanetti comodi e il wi-fi. C’è un bancone pieno di ciambelle, muffin e cupcakes. E, ovviamente, ci sono i caffettoni nei bicchieri di carta con panna, latte, cioccolato, caramello e le innumerevoli variazioni sul tema. Il posto è anche vegetarian friendly, con una zuppa calda di legumi o verdure proposta ogni giorno a pranzo, e promuove il riciclo e la beneficenza. Al di là dei miei gusti personali, capisco che abbia le carte in regola per piacere a tutti, dallo studente hipster – l’avventore per eccellenza – alla coppia di anziani che erano seduti al tavolo di fianco al mio con due giganteschi creativi (questo il nome dell’equivalente ititiano dei frappumocaqualcosaccini).
Però, però. Da Itit ci tengono molto a ribadire la loro italianità: i panini hanno il nome di vie bolognesi, la baguette è chiamata baghét, eccetera; ma rimane il fatto incontrovertibile che le ragioni principali del loro successo restano l’atmosfera e le proposte del locale, ovvero la copia – bella, brutta, italiana, italianissima, ma sempre copia – del modello Starbucks. Lo Starbucks post svolta ecologicamente responsabile ed eticamente impegnata.
E quindi, considerato che dopo un anno non si può parlare di una moda passeggera, ma di un vero e proprio successo, non posso fare a meno di farmi, anzi farvi, un paio di domande.
Perché subiamo così tanto il fascino di Starbucks? D’accordo, è un buon posto dove trovarsi con gli amici, leggere, lavorare al computer. Ma di bar italiani dove si può fare la stessa cosa ce ne sono a iosa, magari davanti a un espresso, a un cappuccino o un cornetto fatto come si deve. Invece di simil-Starbucks ce ne sono a Torino (Busters Coffe), Milano (Arnold Coffee) e chissà quanti altri (segnalateli).
Voi di Starbucks cosa pensate? Condividete le perplessità o pensate che gli anti-Starbucks con le tirate contro omologazione, globalizzazione e simili amenità siano fastidiosamente ideologici e gastrofighetti? E che dopotutto, in Italia non farebbero male più Itit o addirittura – ovvove ovvove – molti Starbucks?
[Crediti | Link: Itit, immagini: Itit, Giorgia Cannarella]