A chi propugna una dieta irreprensibile –e ad alto contenuto di moralità– a base di legumi e farinacei, diciamo di riporre il cilicio, almeno per il tempo necessario a leggere l’immondo decalogo che segue. Nel nostro paese di giullari e golosi s’è visto fare di tutto, intorno a una bistecca. Maestri della brace che si giocano la carriera a stabilire il punto preciso in cui la fiorentina è degna di questo nome: subito dopo lo stadio “crudo totale”, per non sembrare una tartare troppo ben assemblata, subito prima dell’esperienza inutile di una braciolona xxl prosciugata dalla cottura.
C’è chi a suo tempo ha inscenato funerali con ghirlande di odori e braci di castagno al posto degli incensieri per dire addio alla bistecca con l’osso, chi più sobriamente non riconosce la domenica senza vedersi nel piatto la fettina della redenzione, quella fine fine – e generosamente irrorata col sughino – di rosbif (archetipo delle ricette importate e assunte a tradizione nostra, con tanto di nonne e zie che piegano alla religione del mestolo italico anche il nome del classico piatto d’Oltremanica).
“Mi piace essere trattata come un pezzo di carne” assicura Annabel Chong, macellaia off, diciamo così. Ma non siete obbligati ad arrivare ai suoi standard. Potete pure ribaltare la faccenda, e imparare come si tratta, davvero, un pezzo di carne. Per esempio, facendo un pellegrinaggio profano nelle macellerie d’Italia scelte per voi da Dissapore. Un buon inizio, a prescindere.
Salumificio Maison Bertolin. Lo speck a queste altitudini si gusta affumicato con legno di faggio. Più altri immancabili stravizi della Vallée: il lardo di Arnad, e l’olio di noci ricavato dalla prima spremitura delle noci valdostane. Loc.Champagnolaz, 10 — Arnad (AO) 0125 966144.
Macelleria Masseroni. In via Corsico, lungo il Naviglio Grande, arrivano velleità esterofile e un gusto per la sperimentazione che ben si addicono alla zona, tutta bar gastrofighetti e take away multiculturali. Masseroni, gastronomia e macelleria insieme, prova a redimerci dal campanilismo e dalla passione per la ciccia proponendo nobili varianti: costine di maiale nero o seitan cotto a bassa temperatura al miele o sciroppo d’acero. E se proprio la rozza costina vi disturba anche al suono, deviate dal provincialismo assaggiando il manzo Wagyu, “caviale della carne” che, assicurano qui, “dal Giappone ha fatto il giro del mondo fino ad approdare sulle tavole dei ristoranti più esclusivi, diventando un vero bene di lusso”. Via Corsico, 2 — Milano, 02 89403774.
Macelleria Motta. Chissà se anche qui, a cena con l’allora first lady Veronica, il Cavaliere si dilettava a vergare grafici sui tovaglioli di questa macelleria-ristorante padano. Dal Motta la costata di vitellone e la bistecca di coscia (sì) pare lo abbiano distolto dall’impeto programmatico. Una volta tanto. Via Giacomo Matteotti, 8 — Inzago (MI) 02 9549220.
Macelleria Cazzamali. Franco è il guru della battuta di fassone, e scaccia i mali della caligine padana stemperandola nel sapore intenso delle sue carni. Un posto imprescindibile, luogo di culto che, come tutti i luoghi di culto, va scovato con fiuto, cercato con intenzione. Ma il “Giotto” (volgarmente dicesi hamburger) che si mangia qui vale davvero il pellegrinaggio nelle nebbie. Via Vezzoli, 2 — Romanengo (CR), 0373 72101.
Macelleria Falorni. A 20 chilometri da Firenze, nella piazza principale di Grave in Chianti, è considerata la stazione più ghiotta del Grand Tour circa 2012. Entrarci fa pensare alla tavola apparecchiata, all’ottimismo di un ristorante, alla graticola che deve essere sempre caldissima, e davvero sembra che non possa esserci niente di male in una bistecca alla Fiorentina. O nei molti insaccati tipici della zona, ricavati da carne di cinghiale, maiale, cinta senese e bovino. Attrezzatissima, c’è pure la sala degustazione per salumi, formaggi, vini, cantucci, forniscono i sacchetti frigo per il trasporto a distanza. Piazza Giacomo Matteotti, 71 — Greve in Chianti (FI) 055 853029.
Macelleria Sergio Falaschi. Pare sia uno dei fattori che ammorbidiranno l’astio dei livornesi dopo il decreto sulle maxiprovince: è il mallegato pisano, diabolico intruglio di cotenne e testa di maiale cotte e macinate, cui s’aggiungono lardelli soffritti e sangue filtrato. Il signor Falaschi lo propone insieme a una selezione di rispetto di salumi e salsicce di Cinta senese, senza farsi mancare varie ed eventuali al tartufo bianco e nero locale, arista e rosticciana, mentre il batticarne assesta i suoi colpi a tempo di jazz (in macelleria c’è un festival dedicato). Via Augusto Conti, 16 — San Miniato (PI), 0571 43190.
Macelleria Cecchini. Lui è il macellaio più chiacchierato di tutta la Toscana. Recita Dante mentre affetta il bicchiere, e i turisti gongolano ricoprendolo di flash. E secondo i puristi del mestiere questo non depone a suo favore. Ma Dario Cecchini, qualche volta, vende anche l’arrosto insieme al fumo. Per esempio ti serve (nel senso che lo mangi lì, seduto a una tavolata di spiritacci toscani) uno degli hamburger più buoni che si ricordino – a memoria di donna. E poi tonno del Chianti, fettunta, una mostardina di peperoni che non resta mai ignorata a lato del piatto. Prossima prodezza cecchiniana, in data ancora da stabilire: rilevare una macelleria di Terranuova Bracciolini, chiusa da cinquant’anni. Via 20 Luglio, 11 –Greve In Chianti (FI), 055 852020.
Macelleria Feroci. Feroci da quattro generazioni, pare si siano guadagnati la dignità del cognome perché a nessun passante di ritorno dal Pantheon è dato di passare indenne davanti alla lussureggiante vetrina di questa boutique della carne. Come concludere degnamente il rito pagano senza accostarsi alle loro carni cosmopolite? Vitello olandese, manzo danese, polli e conigli italiani, e agnelli selezionati nelle campagne romane. Via della Maddalena, 15 — Roma, 06 68801016.
Bottega Liberati. Vale la pena farsi un giro in periferia per la carne di Liberati. Polli e conigli San Bartolomeo, agnello di Carpineto, cavallo brado, angus, nero casertano sono i fiori all’occhiello di questo tempio dei carnivori capitolini. Ma, sempre per gli ormai redenti dal piacere della carne, non mancano paste artigianali di semola, kamut e orzo, risi biologici, formaggi presidiati da Slow Food. Via Flavio Stilicone, 282 — Roma, 06 7101156.
Biondini carni. Norcini umbri da generazioni, i Biondini propongono salumi stagionati, carni di bovino, suino, agnello e persino un catering ad hoc. I prodotti passano attraverso una selezione rigorosa e provengono dagli allevamenti della famiglia, in un circolo virtuoso che arriva fino alla macellazione e al confezionamento. La tanta dedizione fa perdonare anche gli errori ortografici, che punteggiano il sito come i grani di pepe le salsicce. Via Torino, 86 – Grutti (PG), 345 49 59 449.
Macelleria Tamborrino. Per 9 euro al chilo Domenico Tamborrino dispensa gnummarieddi (involtini di fegato, polmone e rognone) nel retrobottega trasformato in trattoria. Agnello, fegatini, salsiccia di maiale fanno il resto. E, a disposizione di chi si ferma a gustare la carne espressa, anche buone etichette di rosso pugliese. Via Roma, 58 — Laterza (TA), 099 8216192.
Con siffatti capolavori di artigianato gastronomico, sfido chiunque a diventare un integralista del sedano rapa. E voi, che sapete bene che la carne è debole ma la ciccia è decisamente un piatto forte, avete altri suggerimenti per un trattamento degno dell’aforisma di miss Chong?
[Crediti | Link: Epigrammi, immagine: Andrew Scrivani]