Il mondo non è fatto di soli gastrofanatici. Non tutti quelli che apprezzano la buona cucina sono necessariamente afflitti da questa malattia ed uscire a cena con uno di loro può essere una grande esperienza, un modo per tarare le nostre percezioni drammaticamente alterate da cene spesso perfette ed impeccabili. Le regole sono semplici: 1) scegliere un amico in gamba, sensibile ed intelligente che non abbia nomi di chef, fotografie dei piatti e ricette al posto dei neuroni. 2) trovare un posto che permetta di vivere con lui una bella esperienza senza accendere un mutuo. 3) osservare le sue reazioni ed ascoltare le opinioni liberandoci dalle sovrastrutture.
Il posto è un grazioso ristorante in zona Portuense, Le tre zucche, comparso una sola volta nelle nostre pagine in occasione di un post e grazie a un commento (d’altra parte, che i nostri notisti siano pignoli ed esigenti lo ha detto persino Il Sole 24h dalle pagine del suo inserto mensile “I viaggi del sole”). L’amico ce l’ho, il suo nome in codice è Wolf, 37 anni, brillante web e new-media manager.
Le osservazioni di Wolf sono in corsivo:
“Non mi capita spesso di entrare in un locale ed essere accolto in modo così gentile. Il sorriso dei proprietari (Chef Fabrizio Sepe e Federico Chessa NdR) è spontaneo, cordiale. Anche l’arredamento ha uno stile informale (45 coperti e 20 nel dehor), e da come si muovono tutti i ragazzi di sala, sembra ci sia quasi una regia dietro a coordinare. La sensazione che ho, rispetto ad altri locali, è che qui sia centrale l’esperienza del sedersi a tavola e mangiare“.
Il menù che scegliamo è quello Degustazione, costa 35€ (mezzo litro d’acqua e pane inclusi) e mi sembra un buon modo per testare la cucina.
All’inizio ci servono un piccolo benvenuto: una Mousse croccante di formaggio al rafano e castagne. E’ croccante perché il formaggio sta accoccolato dentro una sorta di cialda (pasta phyllo), divertente il contrasto di consistenze e davvero buono al palato. Anche i vini li sceglie il proprietario su nostra richiesta: beviamo Ricci Curbastro, Satén.
“L’antipasto porta questa dicitura: Ricotta di pecora croccante con noci e pere su riduzione di aceto balsamico. Mi fa sorridere il modo di segnalare i piatti in carta, ci si mette un po’ per leggerli tutti. Il piatto è bello da vedere e ricotta, pere e aceto balsamico insieme stanno da Dio“.
Seguono due golose palline dorate adagiate su una crema color arancio: Polpettine di alici alla “beccafico” su crema di zucca. Oltre che belle sono anche gradevoli in bocca. La dolcezza è la sensazione principale e la frittura è ben eseguita. Ci servono da bere Franz Haas Manna 2008.
“L’alternanza dei piatti segue un ritmo perfetto per gustare e parlare. Credo di aver capito però che è meglio uscire a cena con chi non passa il tempo a scrivere e fare foto. Ma fate tutti così?”
Arriva il primo: Passatina di fagioli del purgatorio di Gradoli con bocconcini di trota in carpione e funghi porcini. Accostamento curioso, ma delicato in bocca, lo trovo riuscito.
“Le porzioni non sono grandi, ma non sento il bisogno di mangiare di più, visto il numero delle portate. Forse solo i Ravioli farciti di broccoletti mantecati alla Gricia, sono pochi. Per quanto sono buoni, ne mangerei una decina, non solo i due che ho nel piatto. Il secondo, anche se queste distinzioni mi pare comincino a perdere di senso, è la Guancia di manzo stufata con purea di patate, castagne e tartufo nero. Morbidissima e dal sapore incisivo. Beviamo Camerlano Garofoli”.
Dopo due mini porzioni di Sacher in omaggio, siamo al dolce: un Montblanc.
“Non è come lo ricordo, piuttosto una scomposizione di quello tradizionale, ottimo. A consegnarcelo è il cuoco, anche lui decisamente cordiale e molto simpatico (affatto estraneo alle incursioni in sala nel ruolo di cameriere per raccogliere i commenti e conoscere personalmente i clienti)“.
“Una volta finita la cena mi sento sazio, felicemente coccolato da tutto lo staff de Le Tre zucche e sorpreso anche dal conto: 98€. Mi aspettavo di spendere di più in un posto di questo genere, un posto dove ti senti al centro dell’attenzione di sala e cucina e dove tornerò sicuramente”
E io non posso che essere d’accordo con Wolf.
A questo punto chiedo a voi: cosa può imparare un gastrofanatico come noi da uno sguardo libero e disincantato di chi fanatico (ancora) non è?